giovedì 8 dicembre 2016

La strada da percorrere

Che fare? In passato se lo sono chiesto in tanti di fronte a situazioni sociopolitiche in movimento, uno in particolare.
  Ora tocca a noi, noi tutti che abbiamo votato no, ed anche a quelli che hanno votato si con troppa leggerezza ed ora si rendono conto di non aver fatto la scelta migliore.
  Perdonate se cito me stesso, ma prima del voto scrissi su questo stesso blog questa frase: "…con il NO in Italia si innesterebbe un processo di ricostruzione costituzionale, che avrebbe sull'Europa solo effetti positivi, in senso democratico."
  Confermo e ribadisco, anche se al momento se ne sentono e vedono di tutti i colori. È un polverone normale, ovvio, comprensibile, ma dovrebbe posarsi al più presto possibile per cominciare a fare sul serio. Forse non ne siamo ancora consapevoli tutti quanti, ma avendo confermato in modo così forte e chiaro la nostra Costituzione Repubblicana dobbiamo anche organizzarci e fare pressione perché venga finalmente applicata correttamente. Facendo questo daremmo un esempio agli altri paesi europei e come importante paese fondatore dell'Unione Europea potremo essere d'esempio per tanti altri nel resto del nostro continente.
  Applicare la nostra Costituzione può significare tante cose. Più logico sarebbe cominciare dalle cose più facili. Ad esempio rettificare subito le leggi e provvedimenti che non sono interamente o parzialmente conformi.
  Poi sarebbe da ripristinare interamente la nostra sovranità nazionale, perché uno stato libero ed indipendente, come il proprio popolo, potrà migliorare anche l'Unione Europea. Non è l'Europa che ci opprime, ma ben altri, pensiamoci un attimo. L'Europa ci serve e la dobbiamo solo cambiare.
Altra cosa da fare, appena eletto un nuovo Parlamento con una legge elettorale costituzionalmente immacolata, sarà quella di verificare, magari attraverso una commissione bicamerale d'inchiesta, la correttezza e validità delle leggi varate nell'arco degli ultimi 30 anni.
  Andrà messa mano anche alle privatizzazioni, molte delle quali disastrose per il nostro paese, e si dovrà recuperare dove possibile il nostro patrimonio nazionale per poter mettere una nuova stagione di crescita economica su basi solide e non nelle sabbie mobili della finanza internazionale.
  Il sistema sanitario nazionale dovrà tornare a livelli di qualità accettabili per un paese moderno, limitando le interferenze di famelici interessi privati, che di certo non si possono conciliare con gli interessi e la salute dei cittadini.
  Chi chiacchiera troppo, specialmente tra gli sconfitti del si, dovrebbe fermarsi un attimo e riflettere su cosa dovrebbe fare veramente per migliorare il nostro paese. Una cosa, ad esempio, è quella di rileggersi la Costituzione con animo pacato. Poi potrà partecipare cominciando da se stesso, come dovrebbero fare anche gli elettori del NO, per cambiare in meglio la situazione. Non pretendere cose che non gli spettano, ma lottare per i propri diritti che condivide assieme a tutti gli altri. Combattere la corruzione tenendosene lontano e denunciando chiunque pretenda denari e favori in cambio di qualcosa. Importante anche di smetterla di credere di ottenere qualcosa leccando il culo a qualche potente o sfruttare la propria posizione a danno di altri.
  Ci si è aperta davanti una nuova strada con nuove grandi opportunità. Percorriamola.

lunedì 5 dicembre 2016

Accettiamo le scuse del Sud

Fino all'ultimo mi sono dovuto sentir dire che gli italiani non sono capaci di reagire, figuriamoci di rivoltare contro una palese porcheria come quella della "schiforma". Non facevo a tempo ad accennare che però la Resistenza… già venivo interrotto con frasi del genere: …si, vabbe', ma quello era un momento particolare, c'era la guerra, c'era la fame, gli Italiani sono troppo vigliacchi.
  A me continuava a sembrare strano che fosse pensabile un appecoronamento così massiccio, soffocante ed inevitabile. L'Italia è una pianta potata male, ma le radici non le puoi modificare a piacere. Anche se tagli tutto, da qualche parte la radice ricaccia fuori vigorosi virgulti.
  Insomma, in qualche modo me lo sentivo che il risultato sarebbe stato straordinario ed a favore del NO, alla faccia dei peggiori pessimisti.
  Mi erano passati per la testa vari episodi che mi davano speranza e certezza. Ve li racconto per come li conosco.

Cefalonia

  Il Dramma di Cefalonia mi è noto dai libri e dalla televisione. In particolare ricordo un documentario televisivo, ancora in bianco e nero, nel quale un sopravvissuto raccontava sul luogo cosa accadde in quei drammatici momenti. L'episodio che mi si scolpì nella memoria fu questo: il Generale comandante italiano andò al comando tedesco per trattare. Come i suoi uomini sapeva benissimo che resistere avrebbe significato morire, dato che le munizioni a disposizione erano troppo poche ed i tedeschi violenti e crudeli.
  Il comando tedesco pretese l'immediata consegna delle armi. Il generale italiano chiese di potersi consultare attraverso una linea telefonica da campo con i propri ufficiali dall'altra parte dell'isola. Quando gli fu concesso ordinò ai suoi ufficiali di aprire il fuoco sui tedeschi e difendersi come potevano. L'ufficiale all'altro capo del filo rispose: "Comandante!, è già un quarto d'ora che stiamo sparando!" In cinquemila caddero combattendo o furono fucilati una volta finite le munizioni. Solo trecento riuscirono a scampare al massacro e si unirono in seguito alla Resistenza greca, nelle cui fila si fecero onore.

Albania

  In tutti i Balcani singoli soldati italiani, gruppi spontanei piccoli e grandi ed intere armate riuscirono a sottrarsi alla prigionia tedesca ed a combattere per la propria libertà e la liberazione dei popoli che li ospitavano. C'è anche qui un episodio dalla grande forza simbolica.
  Sfogliando l'Almanacco del PCI del 1974, incappai nell'inserto speciale dedicato al Trentennale della Resistenza, del quale mi si stampò in testa una immagine bizzarra: un capitano degli Alpini al galoppo su di un mulo, con la sua spada sguainata tenuta il alto, entra in Piazza Scanderbeg a Tirana: è il primo combattente della Resistenza albanese ad entrare nella città appena liberata dall'occupazione tedesca, un membro della Brigata Gramsci, composta quasi interamente da soldati ed ufficiali italiani, forte di 2.000 uomini. La storia a volte è strana, perché gli stessi che pochi anni prima erano stati mandati dal governo fascista ad occuparla, alla fine la liberano.
Ufficiali italiani dell'Esercito di Liberazione Albanese
  La vastità della partecipazione italiana alla liberazione dei Balcani ed in particolare della Yugoslavia per molti anni era non perfettamente nota neanche all'ANPI. La cosa me la spiegò una volta personalmente il Generale Nino Pasti, allora presidente nazionale dell'Associazione dei Partigiani italiani. Alla morte di Tito andò in Yugoslavia una nutrita delegazione di partigiani italiani che lì avevano combattuto, con tutti i labari e medaglieri dei corpi registrati ufficialmente nello schedario dell'ANPI. Quando arrivarono nella grande spianata dove si doveva tenere la commemorazione, videro che dalla enorme folla spuntavano numerose bandiere italiane. Non si capiva cosa potesse essere, dato che c'era un'unica delegazione ufficiale italiana. Il Generale Pasti si fece un giro ed attorno ad ogni bandiera italiana trovò gruppi, a volte anche nutriti, di italiani. Dopo essersi presentato veniva così a conoscere tanti gruppi di soldati che avevano combattuto nella Resistenza jugoslava ma che dopo la guerra non avevano chiesto riconoscimenti o altro. Alla domanda perché non si fossero presentati dissero che a loro bastava aver fatto il proprio dovere.

Napoli

  Non mi stupisce affatto che i napoletani si siano massicciamente espressi in difesa della Costituzione. Molti magari lo hanno anche fatto inconsapevolmente, ma il loro istinto offrì all'Italia appena occupata "dal tedesco invasor" un esempio straordinario, veramente incredibile, che si pone all'inizio della guerra di Liberazione Italiana. Praticamente buttarono fuori dalla città, a mani nude, l'esercito tedesco. Avevano dimostrato che un popolo, se unito, vince anche contro quello che allora molti credevano fosse l'esercito più potente del mondo. Le quattro giornate di Napoli furono per gli alti comandi della Wehrmacht un vero e proprio pesante segnale d'allarme, basta vedere quello che resta dei documenti tedeschi di quel periodo. Una cosa così grande resta comunque nella memoria storica di una città ed il fatto che un popolo non necessariamente abbia bisogno di un esercito regolare per liberarsi fece un po' scuola negli anni a venire.

25 luglio

Folla esultante a Roma dopo le dimissioni del Puzzone
  Negli archivi dei servizi segreti a Praga si conserva una relazione sugli avvenimenti del 25 luglio 1943 inviata al comando della Gestapo da Gerhard Rohlfs. Questo era un ancora oggi famoso professore di linguistica, specializzato il dialetti italiani e gruppi linguistici minoritari. Tanto amava i dialetti italiani, tanto, se non di più odiava gli italiani. Pieno di livore dice che aveva già da tempo messo in guardia rispetto agli italiani, una massa di incapaci e rammolliti e bla bla bla giù tutto l'armamentario del bravo razzista crucco. Descrive nella sua relazione due scene: Prima di tutto era partito poco prima del 25 luglio per Monaco, ed all'andata tutte le stazioni ferroviarie erano addobbate con slogan fascisti e sui muri splendevano candidi cartigli con le immarcescibili frasi storiche del duce. Al suo ritorno in Italia poco tempo dopo, dal Brennero fino a Roma credere, obbedire e combattere! non si vedevano più e tutte le roboanti parole del duce erano state accuratamente coperte con la calce. A Roma un amico poi gli raccontò che la Via Nazionale subito dopo l'annuncio delle dimissioni del puzzone si ricoprì nel giro di pochi minuti di ritratti di Mussolini, calendari della milizia e dell'OND, divise, berretti, diplomi, distintivi, medaglie ed ogni altro ciarpame di regime, lasciando alla Nettezza Urbana il compito di spazzare via venti anni di fascismo.

Allora ed oggi

  Fatti grandi come la nostra Resistenza lasciano comunque una traccia profonda nella memoria collettiva; nessuna propaganda, nessuna televisione, per stupida, volgare e falsa che possa essere, certi tratti profondamente stratificati non li può cancellare nel giro di un paio di generazioni. La nostra lotta antifascista e poi la Resistenza culminarono nella Costituzione, e questo lo sanno anche i bambini ipnotizzati dall'ipod.
I risultati del Referendum del 1946 in un documento della DOXA
Anzi, da allora ad oggi siamo anche cresciuti. Il referendum istituzionale del 1946 ebbe un esito risicato. Oggi la nostra Costituzione Repubblicana è stata confermata da tutto il popolo in modo chiaro, netto, ed anche un po`assordante. Addirittura il Sud e le Isole si sono trovate avanti con il NO, quasi a voler chiedere scusa di aver mancato l'appuntamento del '46. Scuse accettate. Grazie.

domenica 4 dicembre 2016

Votate, poi vedremo le matite

Attenzione! Da più parti si sta sollevando una marea di dubbi relativi alle matite distribuite ai seggi elettorali. Non solo si tratta di matite non conformi alla vigente legge elettorale, ma sopra alle matite vi è stampigliata (in alcuni casi) una pubblicità della società privata che ha fornito le matite al Ministero degli Interni.
Dopo aver votato sono andato direttamente al più vicino Commissariato di Polizia, dove ho chiesto delucidazioni. Dopo aver a lungo sviscerato il problema, è venuto fuori che la migliore cosa da fare è presentare direttamente alla Procura competente per territorio un esposto dettagliato. Meglio se l'esposto è firmato da più persone, singolarmente a titolo personale in quanto cittadini elettori.
Nell'esposto vanno messi in risalto i seguenti punti:
1. La matita fornita non corrisponde e non ha le qualità di quelle descritte nella legge elettorale, avendo una mina di semplice grafite e senza contenere elementi grassi o pigmenti che risultino indelebili o difficilmente cancellabili.
2. La matita oltre l'indicazione "Ministero degli Interni" reca la pubblicità di una ditta privata.
Da quanto detto ne consegue che:
a. il voto apportato sulla scheda mediante una normale matita con la mina di grafite può essere cancellato facilmente ed in tempi assai rapidi. Pur non essendo sino a questo punto un reato, ma solo un illecito amministrativo, comunque la sicurezza del voto non è garantita come vorrebbe la legge.
b. la presenza di una pubblicità privata sulle matite andrebbe esaminata più da vicino, dato che potrebbero risultare procedure amministrative non perfettamente conformi alle leggi vigenti da parte della stessa Amministrazione del Ministero degli Interni.
Chi non è ancora andato a votare faccia comunque notare in modo calmo che le matite non sono quelle previste dalla legge elettorale e chiedete una matita copiativa. Attendete la risposta del Presidente del seggio, ed a seconda dei casi o della reazione del Presidente, descrivetela nell'esposto nel caso in cui vi sembrasse scorretta o comunque emendabile.
COMUNQUE SIA ANDATE A VOTARE E VOTATE, VOTATE, VOTATE! 

venerdì 2 dicembre 2016

Tanti perché per un unico NO

Ho tentato di spiegare ad un mio amico tedesco di origini italiane perché sia giusto e meglio votare NO al referendum in difesa delle basi democratiche dell'Italia e dell'Europa. Gli ho scritto una lettera tramite facebook, ma nonostante sia stata già condivisa qualche volta, appariva solamente la fotografia di corredo, un ritratto di Altiero Spinelli, ma non il mio testo. Ora la rimetto in giro anche tramite il mio blog, nella speranza che circoli un poco di più in questo ultimo giorno di campagna elettorale, oltre che attraverso facebook, anche grazie a Twitter ed altri social:

  Caro Mario, immagino perché tu pensi che il si sia giusto. La televisione tedesca lo sta ripetendo ormai tutti i giorni. Il NO è contro le riforme, il si metterebbe fine all'instabilità dei governi italiani. Inoltre otto banche non rischierebbero di chiudere.
  Molti italiani pure credono a favole del genere propagate giornalmente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, perché non conoscono bene a fondo la storia del proprio paese.
  Primo punto: le riforme. Se un paese ha bisogno di riforme, non si cambia la Costituzione, ma le leggi. Altrimenti sarebbe come se per non prendere più multe per eccesso di velocità, parcheggio vietato, mancato rispetto della segnaletica tu pretenda che venga cambiato il codice della strada e non il tuo comportamento scorretto.
  Quello che va riformato è il mancato rispetto di leggi e regolamenti da parte degli stessi che le dovrebbero rispettare per primi.
  Punto secondo: l'instabilità. Il fatto che ci siano stati in passato tanti governi in Italia -questo è un problema che non è più tanto attuale ma colpisce la fantasia dei tedeschi- dipende dal comportamento degli attuali dirigenti dei partiti politici e non dalle leggi stesse o dalla Costituzione. Le leggi elettorali sono già state modificate varie volte, e la situazione è solo peggiorata. Governi che durato tanto tempo non sempre sono necessariamente buoni o utili ad un intero paese. Al massimo sono utili a ristretti gruppi di profittatori che possono fare meglio i loro loschi affari.
  A questo punto due parole sulla Costituzione in se. Tu sei più tedesco che italiano, ed hai vissuto la tua vita in un paese che la Costituzione, per quello che una Costituzione che meriti questo nome dovrebbe essere, non ce l'ha. La BRD ha solo un "Grundgesetz", una soluzione provvisoria organizzata dagli occupanti americani subito dopo la guerra e mai completata. La Costituzione Italiana invece è nata da una dura e sanguinosa lotta per la Libertà, è stata come si diceva una volta, scritta col sangue di un intero popolo.
  Chiudiamo con le banche: La riforma, o meglio, lo stupro della Costituzione italiana lo vogliono le banche ed i poteri finanziari globali, dunque capisci per quale motivo si metta in giro la voce che il NO sarebbe un disastro per le banche. Io spero che le banche valgano molto meno degli interessi collettivi di un intero paese.
  Ultima osservazione: non trovo parola migliore per definire quello che si dice degli effetti negativi per l'Europa in caso di vittoria del NO: una colossale CAZZATA.
 È vero l'esatto contrario: con il NO in Italia si innesterebbe un processo di ricostruzione costituzionale, che avrebbe sull'Europa solo effetti positivi, in senso democratico.
  Per concludere sappi che gli stessi uomini e donne che hanno contribuito a scrivere la Costituzione Italiana sono autori del Manifesto di Ventotene, che è alla base dell'Unione Europea. Quella vera, non quella delle banche.

mercoledì 9 novembre 2016

Con Trump si può

  Io me lo sentivo già da tempo, da quando Bernie Sanders era stato escluso dalla corsa presidenziale, che avrebbe vinto Trump. Era evidente, ma si è preferito illudersi che tutto sarebbe andato come previsto -da chi non si sa- e cioè che la Clinton sarebbe stata eletta.
  In un tranquillo dormiveglia ho seguito la notte elettorale, e verso le 4 di mattina mi è tornata alla mente la tragica figura di „Comical Ali“, il ministro dell’informazione di Saddam Houssein. Mentre dichiarava alla stampa internazionale che l’esercito iracheno aveva respinto quello americano, alle sue spalle si vedevano passare tranquilli i carri armati yankee. Negava l’evidenza e credeva nelle balle che lui stesso stava dicendo.
  Voglio dire con questo che mentre era evidente che Trump stava vincendo stato dopo stato, i vari commentatori ed esperti assicuravano che era molto difficile che Trump potesse avere sussesso e che se anche di misura, sarebbe risultata vincitrice la Clinton.
  Tutti stupiti poi alla fine non solo del fatto che Trump avesse vinto, ma anche delle dimensioni della sua vittoria. Sbalorditi si chiedono ora come è possibile che tanti americani, molti di loro tornati alle urne a votare dopo decenni di delusa astensione, abbiano scelto un imbroglione, maneggione, puttaniere, maleducato e mezzo matto come Trump.
  Mi viene il sospetto che anche „esperti“ politici, anche negli stessi Stati Uniti, non conoscano l’America reale, quella che vive e vegeta fuori dalla portata dei loro occhi ed orecchie, nel profondo della provincia più remota, attorno alle carceri/campo di concentramento a gestione privata, nei boschi addirittura, dove vivrebbero allo stato brado migliaia di dropout sconosciuti persino alle autorità, che fanno finta di non vedere.
  Un paese nel quale il governo si arma sempre di più contro una parte dei propri cittadini, dove sembrano normali sommosse popolari che finiscono in saccheggi dal sapore medievale, dove in alcune parti si formano milizie spontanee pronte a combattere per l’indipendenza dal proprio governo.
  Si ha l’impressione che questi esperti giudichino gli Stati Uniti sulla base dei telefilm e dei polizieschi televisivi.
  Quando nel 2006, trovandomi a Seattle dissi ad un locale che mi sarei fatto una passeggiata per conoscere meglio la città, mi sconsigliò vivamente di andare in una determinata zona dopo le 18.00; l’avrei fatto solo a mio rischio e pericolo.
  Naturalmente andai a vedere dopo le 18.00 e capii di cosa stesse parlando: mi trovai davanti personaggi surreali, molti dei quali dall’aspetto poco raccomandabile. Alle 18.10 stavo già nuovamente in una zona più tranquilla.
  Fu allora che mi venne il sospetto che un paese come gli USA, nato da una guerra civile, finita con un grande inciucio, rischiava di naufragare in una guerra civile terminale.
  Non mi ha per questo stupito più di tanto il fatto di sentire più di qualcuno parlare con grande preoccupazione della profonda divisione che l’ultima campagna elettorale ha creato nel paese. Una spaccatura che non era mai stata sanata definitivamente e che con l’elezione di Trump potrebbe rimettersi in un pericoloso movimento, il quale potrebbe portare ad uno scontro fatale.
  Staremo a vedere cosa succederà, ma una domanda ce la dobbiamo porre subito: che cosa rischiamo noi in Europa dopo questo nuovo evento?
  Io credo che a breve, se dei problemi ci saranno, saranno soprattutto interni agli Stati Uniti. Per l’Europa in questo modo si potrebbero aprire ulteriori possibilità di riformulazione della propria identità comune, delle possibilità di autogoverno e di indipendenza economica, senza il pesante alito della NATO sul collo, quel simpatico organismo militare cui i nostri governi sono supinamente sottomessi ed attraverso il quale gli Stati Uniti hanno tenuto al guinzaglio, come un cane da presa, il nostro continente.
  Il nostro problema immediato è semmai di toglierci dalle scatole immediatamente la schiera di politicantucoli che sono eterodiretti da quella classe dirigente americana che con Trump è stata clamorosamente sconfitta. Credo ad esempio che non sia tanto un problema che il KKK o la NRA abbiano supportato l’elezione del nuovo presidente, anche per una frase detta da Trump in un suo comizio: „Io sono stato uno di loro e conosco bene i trucchi che usano“. Intendo dire che comunque il cosiddetto establishment, la casta, ha subito un colpo pesantissimo, tanto che potremmo avere anche il tempo di riprenderci la nostra libertà e dignità politica e tornare al lavoro per costruire un’Europa libera, veramente unita, democratica, sociale ed ambientalmente responsabile.
  Il Italia ci si offre addirittura una occasione straordinaria: votare NO.
  Con il NO ripartirebbe un processo di ricostruzione costituzionale ed allo stesso tempo ci libereremmo di una marmaglia politica che sta mettendo a serio rischio i nostri valori fondamentali, maturati in una lunga sequenza storica di almeno 2900 e non soli, pochi e miseri 290 anni.

venerdì 26 agosto 2016

Alla ricerca dell'Ur-Matriciana

Una ricetta fa parlare di se chiunque, ma pochi ne capiscono qualcosa

"... sull'Amatriciana, sulla sua origine, sulla ricetta, hanno voluto costruire un castello di illazioni. Senza voler mettere nel conto le variazioni, gli accomodamenti, gli adattamenti, che si sono verificati in questi ultimi tempi." Così si esprimeva nel 1991 il noto giornalista romano, grande, vero e profondo conoscitore della cucina romana e laziale Livio Jannattoni.
  La storia dunque è ingarbugliata ed assai difficile risulta sbrogliare la matassa. Del resto ancora non si è potuto stabilire unanimemente, se la gastronomia sia un'arte oppure una scienza. Fatto è, che, nel caso in cui fosse un'arte, se ci si vuole occupare della materia, è necessario applicare metodi scientifici per indagarla. Si deve basare tutto, o almeno quanto è possibile, su fatti e dati incontrovertibili, testimonianze attendibili, documenti credibili.
  I nostri progenitori più lontani, prima che diventassero agricoltori -questo tutti lo sanno- si nutrivano di quello che loro capitava, alla bruta. Per una serie di motivi si trasformarono in carnivori, e poi in agricoltori ed allevatori, imparando ad escogitare ogni espediente possibile per poter mettere ogni giorno che passa qualcosa di decente sotto ai denti.
  Atavici riti propiziatori e cerimonie espiatorie legate al cibo, dal reperimento al consumo, cui si aggiunge in seguito la nascita di comunità complesse e la differenziazione dei ruoli economici e sociali, sono in fondo alla base della gastronomia come la viviamo oggi.
La base fondamentale per preparare una autentica 'matriciana:
il guanciale, stagionato in un manto di peperoncino.
  Di tutto ciò che compone e rappresenta la gastronomia delle origini non sapremo mai nulla di esatto e preciso. Come noi, non lo poteva sapere nemmeno Archestrato, poeta siciliano del quarto secolo avanti Cristo, autore di uno dei primissimi trattati di gastronomia di cui abbiamo notizia. È comunque per una complessa serie di fatti e circostanze che oggi la pasta "alla 'matriciana" è tra i primi piatti più famosi della cucina romana, primato conteso dalla pasta cacio e pepe, in tempi remoti, ed oggi più che altro dalla carbonara.
  Fiumi di inchiostro, fino a qualche anno addietro, sono stati vanamente versati per dare una storia a questo piatto, mentre oggi abbiamo, grazie alla rete, terabite di ricette, consigli e storielle, sotto forma di testi scritti e parlati, foto e filmati che ci raccontano cose vere e meno vere, in una soffocante ipertrofia informativa. C'è anche chi rivendica alla propria proposta o storia unicità, attendibilità ed autorità conferita non si sa da chi. Ma tutte queste ricette e storie raramente sono in grado di far capire cosa fa della 'matriciana un piatto straordinario.
  Ma iniziamo la ricerca dell'Ur-matriciana allineando sulla tavola alcune certezze. La ricetta, come ci indica inequivocabilmente il nome, ha qualcosa a che fare con Amatrice, e su questo c'è poco da aggiungere.
  Secondo elemento è l'uso del pomodoro in una ricetta romana. Tutti quelli che sostengono che la 'matriciana vera si faccia senza il rosso frutto andino, aggiungendo che il piatto dovrebbe veramente chiamarsi "alla gricia", dovrebbero essere messi a pane ed acqua per qualche mese, banditi da tutte le cucine del regno ed interdetti da qualsiasi funzione culinaria. Parlano a vanvera e confondono le salse!
Volendo una 'matriciana si può fare con vari tipi di pasta,
ma la migliore in assoluto è la pasta fresca alla chitarra
  Essi non sanno che la cucina romana, almeno quella che ancora si tramandava di generazione in generazione davanti ai sacri fornelli di casa, prima che il mangiare quotidiano della tradizione venisse sconvolto dalla prima guerra mondiale, da venti anni di fascismo con le sue mense dell'OND, dai nove mesi di occupazione tedesca, dallo choc culturale ed alimentare importato dai cingolati dei liberatori americani, dagli sconvolgimenti sociali ed economici degli anni della guerra fredda, il boom economico, i surgelati ed il forno a microonde, praticamente si caratterizzava per uno straordinario conservatorismo. Anche se dagli inizi dell'ottocento nei paesini sparsi oltre la fascia semidesertica della Campagna Romana già ci si sfamava con patate, mais e pomodori, Roma respingeva risolutamente l'uso comune di frutti e prodotti troppo nuovi. Per capirci, questo è il motivo fondamentale per cui in tutto il Lazio gli gnocchi si facevano con le patate, mentre dalle cucine della Dominante uscivano esclusivamente gnocchi di semola di grano, serviti in bianco.
  Nel sud d'Italia, o meglio nel Regno delle Due Sicilie di buona memoria, della ricchezza gastronomica il pomodoro, le patate ed il peperoncino erano tra le componenti fondamentali già alla fine del seicento. Dal Sud Roma importava di tutto, meno patate e pomodori. Basta leggersi gli avvisi degli sbarchi a Ripagrande che pubblicava agli inizi dell'ottocento il "Diario di Roma" per capacitarsene.
Per finire di sciogliere bene il guanciale è bene aggiungere
ad un certo punto una manciatina di cipolla tritata fina.
  Orbene, tutta questa tirata per dire che la 'matriciana è la prima pietanza contenente del pomodoro consumata dai romani di Roma. La particolarità sta tutta qui, perché ebbe qualcosa di rivoluzionario, di sensazionale e di straordinario. Ma va a questo punto detto, che la 'matriciana, almeno fino a prima della seconda guerra mondiale, era più che altro un piatto da festa, da trattoria, da occasione particolare; non faceva parte della quotidianità alimentare casalinga, così come la coda alla vaccinara, altro piatto della "tradizione" romana che ancora oggi quasi nessuno fa in casa, ma se lo va a gustare al ristorante.
  I lettori più attenti e perspicaci si saranno ben accorti che non ho scritto "bucatini", come molti si aspettavano, ma ho usato, volutamente, il termine generico "pasta". Questo è un ulteriore elemento certo che ci avvicina alla Ur-matriciana. La ricetta, come abbiamo già appurato, viene da Amatrice, e partendo da quel bell'angolo montagnoso, dedito principalmente, almeno allora, alla pastorizia, di certo aveva il guanciale, che analizzeremo attentamente più oltre, e il pecorino, quasi certamente la cipolla, ma non i bucatini, al cui posto però non poteva che trovarsi niente altro che della pasta. La pasta secca, prodotta industrialmente in centinaia di formati diversi, è anche cosa antica e tradizionale, ma limitata ad una diffusione metropolitana. Nei paesini di montagna la pasta si faceva in casa, e raramente un maccaronaro risaliva gli appennini per offrire la propria merce; lo avrebbero deriso. Qui possiamo ipotizzare un primo elemento costitutivo della Ur-Matriciana: la pasta fatta in casa. Non bisogna essere un esperto per sapere che la pasta fatta in casa in Abruzzo ha grande tradizione, e ci possiamo dunque immaginare realisticamente, che la prima 'matriciana mai fatta al mondo abbia visto nel piatto della pasta "alla chitarra" o comunque dei tagliolini o pasta fresca del tipo degli "strozzapreti".
  Non è certo questa la sede per ripercorrere la lunga ed anche travagliata storia delle paste alimentari e di tutta quella complessa galassia di gnocchi, maccheroni, fettuccine, tonnarelli, vermicelli, fidelini, spaghetti e via dicendo, che sono non solo vanto gastronomico italiano, ma vero e proprio patrimonio culturale universale le cui radici si perdono in tempi assai remoti e di cui abbiamo ampia traccia in epoca romana. Per ridurre tutto all'osso, basti dire che la pasta, dopo bollita in abbondante acqua salata, è buona anche senza nessuna aggiunta, ma un po' di grasso (olio d'oliva, burro o unto di maiale) ed una spruzzata di formaggio stagionato grattugiato ne fanno un cibo sublime. Questo ci fa capire concretamente, che scolare della pasta e buttarla in una padella nella quale sono stati sciolti dei cubetti di grasso di maiale stemperati con una manciata di cipolla tritata rendono questa pasta, con l'aggiunta del formaggio, un cibo irresistibile; il guanciale è senza dubbio la parte dal sapore più delicato e gustoso. Una ricetta siffatta in effetti esiste ed a Roma e dintorni è nota da tempi immemorabili col nome di "gricia" e non si può nemmeno negare l'evidenza del fatto che la 'matriciana sia una "gricia" con l'aggiunta del pomodoro.
  Questa aggiunta non è un capriccio da grand chef o l'idea geniale di quale guru televisivo dei fornelli, ma ha un motivo tecnico-economico ben preciso. Il pomodoro si scioglie parzialmente nel grasso o nell'olio, e dunque serve a risparmiare il guanciale, senza rimetterci nel gusto. Ora, una volta capiti i motivi per i quali esista una salsa composta da guanciale, cipolla, formaggio e pomodoro, resta solo da capire perché Amatrice e come mai a Roma.
  Il già citato Livio Jannattoni ipotizzava che la 'matriciana apparve a Roma nella prima metà dell'ottocento e venisse servita in una delle tante osterie con cucina o locande gestite da famiglie provenienti dall'Amatrice. Nulla di più probabile, anzi, sicuro. Il Cavalier Alessandro Rufini nel 1855 pubblicò l'oggi rarissimo volumetto intitolato Notizie storiche intorno alla origine dei nomi di alcune osterie, caffè, alberghi e locande esistenti nella Città di Roma, nel quale troviamo diversi esercizi gestiti da persone provenienti da Amatrice, come ad esempio in Via Di Torre Di Nona (in parte cancellata dalla costruzione degli argini del Tevere) la Osteria dei Matriciani, della quale l'autore ci dice: "Così la presente osteria è chiamata, perché viene condotta da alcuni individui nati in Amatrice nel regno di Napoli", oppure nel Vicolo Del Governo Vecchio la Osteria del Corallo, della quale si raccontava che "così si chiamasse, perché la moglie del primo padrone, che era matriciano, portava nel collo una quantità di fili di corallo assai grossi, che veduti dagli avventori, non tralasciarono di subito chiamare il detto spaccio di vino del corallo". 
  Il numero di amatriciani presenti a Roma crebbe notevolmente dopo la stagione politica francese terminata nel 1814, come risulta anche dai registri parrocchiali romani di quegli anni. Non è stato ancora possibile trovare dei riscontri certi, ma pare a questo punto evidente, che molti degli amatriciani, impiegati spesso come facchini, frequentassero le locande e le osterie dei propri compaesani, nelle quali trovavano anche pietanze preparate con pomodoro o peperoncino; venendo frequentate queste stesse osterie anche da altri avventori, piano piano la pasta con guanciale e pomodoro, in virtù della sua strabiliante bontà, conquistò anche i romani.
  Abbiamo appena visto che Alessandro Rufini afferma che Amatrice si trovi nel Regno di Napoli, e la cosa non è di importanza secondaria. Considerando che la zona di Amatrice è stata annessa al Lazio solamente nel 1927, gli amatriciani hanno condiviso per secoli col resto del Regno delle due Sicilie gioie e dolori. Tra le gioie possiamo annoverare quelle gastronomiche, ricordando che furono tra i primi ad assaporare patate, pomodori, peperoni e peperoncini. Il Regno di Napoli, che fu per lungo tempo legato alla Spagna beneficiò tra i primi in Europa dei frutti d'oltreoceano. L'Abruzzo è terra di patate, pomodori, zafferano e peperoncino, e si suppone che arrivarono con i soldati spagnoli impiegati nelle fortezze principali del regno.
La 'matriciana non deve essere una salsa di pomodoro, ma un condimento al pomodoro. Gran parte dei filetti di pomodoro
si scioglieranno, in base ad un complesso processo chimico, e permetteranno di risparmiare il prezioso guanciale.
  Il peperoncino ben presto sostituì il più costoso pepe per la conservazione delle carni suine secche, contenendo dei potenti anti-imputridenti naturali, ottimi per conservare prosciutti, lonze, pancette e guanciali. Tra le altre cose, questo è il motivo per il quale si dice che nella 'matriciana ci vada anche del peperoncino. Si, è vero, ci va, ma deve essere quello che rimane sui pezzetti di guanciale.
  Non sappiamo in quale o quali osterie, non sappiamo l'anno, ma di certo la pasta preparata con questa ricetta tipica degli amatriciani divenne di moda, e tutti i trattori si adeguarono, più o meno come successe dopo la seconda guerra mondiale con la carbonara, ma questa è un'altra storia.
  Riassumendo si può dire che: il peperoncino ed il pomodoro sono arrivati dalle parti di Amatrice verso la fine del '600 con i soldati spagnoli impegnati nelle guarnigioni di frontiera; accortisi i matriciani che col pomodoro si risparmia guanciale e che anche il peperoncino conserva bene le guance di maiale, la pasta condita con grasso di maiale e pecorino si arricchisce e diventa la 'matriciana. La 'matriciana arriva a Roma da Amatrice ed in seguito si diffonde anche tra i romani tra il 1815 ed il 1850. 
  Di oste in oste, di mano in mano naturalmente la ricetta, gli ingredienti, qualche tocco particolare cambiano e si evolvono. Gira da qualche tempo una "autentica ricetta", fatta propria dalla Proloco di Amatrice, nella quale si propone di far abbrustolire una parte dei pezzi di guanciale, per poi rimetterli sopra alla pasta impiattata. Si tratta di uno stupido francesismo che appartiene ad un mondo gastronomico diverso e che con la nostra 'matriciana non ha nulla da spartire.
  Per concludere si può dire che se una "Ur-matriciana" esiste, questa ha bisogno di guanciale conservato col peperoncino piccante, da far sciogliere, magari assieme ad un pezzetto di strutto o una goccettina di olio, buttandoci sopra una manciata di cipolla tritata, la cui umidità impedirà la carbonizzazione del guanciale; sciolta anche la cipolla, si aggiungono dei filetti di pomodori pelati, da far amalgamare bene col grasso. Scolata la pasta, questa si spadella nella salsa e ci si aggiunge il pecorino grattugiato.
Il piatto non va decorato, come vorrebbero i filofrancesi, perché la 'matriciana è un trionfo!

venerdì 12 agosto 2016

Anche le ripetizioni meritano

Come l'anno passato ho fatto un bel pezzo a piedi per arrivare ad Amaseno e vedere il sangue di San Lorenzo sciolto. Veramente avevo detto nel resoconto dell'anno scorso che questa volta avrei provato con la bicicletta, ma non avendo avuto il tempo per procurarmene una decente, anche questa volta sono andato a piedi.
  Avevo lanciato l'impresa di quest'anno su facebook, ma a parte segnali di simpatia ed effetto ho avuto solamente due adesioni concrete: Umberto Savo e Marco Nocca, due amici di vecchia data, i quali non se la sono però sentita di condividere la camminata ed hanno preferito raggiungere Amaseno in macchina. Siamo così rimasti d'accordo che ci saremmo visti direttamente alle 10.00 al Ristorante da Giotto; se ci fossimo incontrati per strada, mi avrebbero dato uno strappetto finale.
  Rispetto al 2015, avendo avuto occasione di verificare quanto tempo avrebbe richiesto il percorso di 20 chilometri, sono partito molto prima, ed alle 6.05 esatte sono sceso dal treno alla stazione di Priverno/Fossanova.

L'alba era già in pieno sviluppo, ma le luci della stazione erano ancora accese ed alle spalle dell'edificio, dietro alle montagne si preannunciava chiaramente il sorgere del sole.
  Sul piazzale della stazione una prima bella veduta sui Lepini in pieno risveglio ed anche un cartello che sembrava fatto apposta per me, che indicava la "via francigena". Io la strada che dovevo fare, la conoscevo già, e sinceramente non sapevo che la francigena passasse per la stazione di Fossanova...
Comunque l'ho preso per un buon segno, una specie di benvenuto, e sono partito con passo spedito e sicuro.
  Ci sarebbe anche da fare un po' di polemica -a me ogni tanto piace farla- su questa recente proliferazione di tracciati e rami vari della via che avrebbe dovuto portare i pellegrini verso i santuari più importanti della cristianità europea.
  Fino a qualche tempo addietro non se ne sapeva più niente e nessuno teneva conto degli ultimi segni di questa mirabile rete stradale pedonale. Poi ci fu la riscoperta, con relativi articoli e servizi televisivi, e tutti si misero a cercare la via francigena, anche dove non c'era mai stata. Alla fine,  quando sono arrivati i finanziamenti regionali, sulla base di progetti basati in gran parte su fantasie di persone che neanche sapevano a cosa servissero queste vie; per miracolo non era più una sola la via francigena, ma si era moltiplicata ricoprendo il territorio con una fitta rete, pena la perdita della propria fetta di finanziamento. Come spesso accade nel nostro martoriato paese una cosa seria va prima o poi in mano ad incompetenti affaristi e si trasforma in una inutile burletta.























  Noncurante della direzione (sbagliata) che indicava il prossimo cartello, andai per la mia via francigena personale, non segnalata e sulla quale nessuno potrà fare la cresta, mettendo piede sulla via Provinciale Maremmana. Questa volta oltre il guard rail qualcuno aveva fatto pulizia delle fratte ed erbacce.

  È più che giusto tagliare le erbacce e sfrattare i lati delle strade, ma già che ci stavano, non potevano raccogliere anche vetro, plastica ed alluminio? Sono tutti e tre materiali riciclabili. Mi chiedo cosa ci stia nelle capocce dei vari assessori e dirigenti competenti. Competenti si fa per dire.

























Poco più avanti, dove inizia il muro di cinta dell'abbazia di Fossanova ho dovuto constatare con grande rammarico che gli sfrattatori si devono essere fatti prendere la mano. Diversi pini ad alto fusto sono stati tagliati, un gesto vandalico che non ha alcuna spiegazione plausibile. Qui dovrebbe indagare la Forestale. Ah no, dimenticavo. Renzi la Forestale l'ha sciolta. Credo di aver capito perché. Così gli assessori suoi manutengoli possono far abbattere ai loro amici tutti gli alberi che vogliono senza noie burocratiche.


  È sempre suggestivo entrare a piedi passando sotto il portale dell'abbazia, una cosa che gli inglesi chiamerebbero con un termine azzeccato "gatehouse". Lo ripeto: la macchina è comoda e ci porta rapidamente ovunque, ma quando si deve passare sotto ad un monumento del genere, lo si deve fare solamente a piedi. Dà più emozione.


  Nel controluce mattutino il tiburio ottagonale appare come avvolto da un'aura magica. La totale assenza di gente rendeva tutto lo scenario un poco spettrale. Erano del resto le sei e mezza di mattina ed in giro ci poteva essere al massimo il fantasma di qualche monaco...


  Ripreso il cammino dopo una pausa-panino-portato-da-casa (dovevo pur fare colazione, no?) faccio un altro bel pezzo di maremmana e dietro ad una curva mi appare in alto Roccasecca dei Volsci illuminata ad alzo zero (scusate il termine tecnico, ma ho fatto il militare in artiglieria) dal sole appena sorto. (o sortito?)



Passato il ponte sull'Amaseno, ho ritrovato la bella strada di campagna, illuminata dal sole del mattino. Questa volta ho visto meno monnezza dell'anno scorso. Quella dell'anno passato deve essere stata coperta da erbe e fratte, mentre si potrebbe pensare che hanno smesso di buttarcene. In più ho trovato ancora più frutta selvatica, e mi sono fatto camminando camminando una scorpaccitata di fichi, more, prugne selvatiche e perazze.


  Immancabilmente bella mi è riapparsa la veduta suggestiva di Maenza. Questa volta con photoshop ho usato il filtro "dipinto" con l'aggiunta dell'effetto "tela". Un bel risultato. Potrebbe anche essere l'opera di uno dei 25 della Campagna Romana... (qui esagero un po', ma quanti sanno come sono i quadri dei 25?)


  La cosa divertente della camminata antelucana è che si incontrano inaspettatamente diverse persone. Anche questa volta ho incontrato un signore del luogo, il quale, come mi ha lui stesso spiegato, si fa ogni due giorni una passeggiatina sportiva su questo tragitto, alternando tratti di corsa e tratti di marcia (quella atletica, non quella militare). A dargli i tempi la voce che usciva periodicamente dal telefonino che teneva nella mano sinistra. Ci siamo scambiati un po' di frasi ed informazioni e poi è partito con una velocità che io non sarei mai stato capace di sostenere. Nel frattempo infatti il mio piede sinistro già mandava segnali preoccupanti, mentre la caviglia destra stava in silenzio preparando una serie di fitte che mi avrebbero riportato alla memoria quella volta in cui da ragazzino me la slogai sciando.


Finita la rotabile sterrata, ho rimesso i piedi sulla provinciale denominata (ma chi li decide i nomi?) "Marchegiana e Casini". Non ho visto nessuna marchigiana in giro e di casini neanche una traccia, ma nemmeno una nigeriana in minigonna ascellare. La vera emozione mi è però venuta dalla scoperta di una sorgente naturale al lato della strada, in mezzo ad una campagna priva di catapecchie o abitazioni (vedi su google maps). Non l'avevo ancora vista, perché l'anno passato questo tratto non lo feci a piedi, ma approfittai di un passaggio in auto.


  Un altro colpo d'occhio niente male è questa quercia solitaria in mezzo ad un campo arato di fresco. Qui la terra è rossa e non c'è nessun bisogno di photoshop per "migliorare" l'immagine.


  Un'altra immagine letteralmente pittorica me l'hanno offerta queste mucche che pascolano in mezzo ad un uliveto. Il panino che mi ero mangiato per colazione qui doveva già essere bello che digerito, dato che guardando le vacche mi chiedevo se davano delle bistecche migliori rispetto alle mucche allevate a stabulazione fissa...

Fine della camminata

  Devo dire che nel frattempo il piede sinistro quasi non stava più nella scarpa, e mi sa che dovrò farmi fare una radiografia, mentre la caviglia destra mi rammentava quella bella vacanza di Natale sull'Alpe di Siusi. Con qualche smorfietta di dolore ero arrivato alla fine della "Marchegiana e Casini", per immettermi lento pede sulla "Gugliette Vallefratta" (ma io questo nomenclatore delle strade provinciali lo vorrei proprio conoscere personalmente...). Si erano fatte quasi le nove e mezza e dopo neanche dieci passi di nuova provinciale mi si affianca una macchina: Umberto e Marco! Se avessimo voluto organizzare un timing così perfetto, non ci saremmo mai riusciti. E poi dicono che la provvidenza non esiste!
  Approposito, in pochi minuti, arriviamo a destinazione (coi piedi ridotti com'erano ci avrei messo almeno un'altra ora) ed andiamo a vedere l'ampolla con il sangue di San Lorenzo. Fa sempre bene vedere una cosa che non si capisce e che non ci sappiamo spiegare. Fa bene alla nostra presunzione di voler sapere e spiegare tutto. Chiudo con la foto di quest'anno e parlerò delle delizie gastronomiche di Amaseno in una prossima occasione.


venerdì 15 luglio 2016

Aspettando Noè


  Tra complottisti, catastrofisti, profeti dell'apocalisse, scienziati confusi e scienziati in malafede, non si sa proprio più a chi dare retta. Quello che però risulta essere abbastanza inquietante è il fatto che tutte le storie, profezie, visioni, previsioni, anticipazioni e ammonizioni varie, bufale comprese, puntano più o meno nella stessa direzione: presto o tardi faremo un gran botto.
  Può essere la terza guerra mondiale, per la quale pare si stia lavorando alacremente, ma che in teoria è evitabile perché interamente originata da poche persone (ma molto potenti) per futili motivi. Potrebbe essere l'impatto di un asteroide, per il quale molti si illudono che sia in qualche modo deviabile, potrebbe essere l'esplosione del megavulcano che langue sotto il Parco di Yellowstone la cui eruzione non potrà essere fermata da nessuno, neanche dall'orso Yoghi.
  Che dire poi dell'inversione magnetica che sarebbe in grado di dare avvio ad uno sciame sismico mai visto da gente umana, in grado di cancellare grandi e piccole civiltà? Da non dimenticare la catastrofe ambientale che ci aspetta dietro l'angolo e che nonostante stia lanciando segnali chiarissimi, solamente pochi riescono a credere che potrebbe essere terminale.

Saluti all'Olanda


  Non si tratta solo dell'innalzamento di qualche decina di centimetri del livello dei mari (dovremo dire addio non solo agli atolli del Pacifico, ma anche all'Olanda), ma di quello che accadrà, anzi, sta già accadendo sotto ai nostri occhi. È praticamente di ieri la tromba d'aria che ha devastato il centro di Arezzo, un fatto che appare nuovo per la sua eccezionalità. Ma a cose del genere dovremo continuare, in modo crescente, ad abituarci. Possiamo anche discutere se il cambiamento del clima sia stato causato dall'uomo, dal destino, dalle farfalle dell'Amazzonia o dai Puffi. Fatto è che il cambiamento è in corso ad una velocità tale, che se ne rendono conto tutti, anche i più tonti e allocchi.
  Cambiamenti climatici non sono ovviamente una cosa nuova. Data la complessità del nostro pianeta, ed anche quella del sistema solare, con tutte le loro variabili grandi e piccole, assortite, sciolte ed a mazzi, tutto si muove e non è mai identico a se stesso.
  Va però considerato che determinati cicli, una volta messi in moto, partono come una valanga e non sono più raffrenabili. Tutto fa ora pensare che una di queste valanghe sia partita e non possiamo che correre ai ripari per salvare il salvabile, cioè ben poco.
  Sono decenni che si parla di "innalzamento della temperatura media" e di "cambiamento climatico", due termini dal suono innocuo, quasi rassicurante. Che saranno mai un paio di gradi in più? Se cambia il tempo potrebbe anche migliorare...
  Magari fosse così! La verità indiscutibile è che stiamo andando a crescente velocità dritti verso un cataclisma ambientale dalle dimensioni inimmaginabili.
  Non è un'esagerazione, ma è che si fa fatica ad immaginarne le dimensioni e la portata che avrà, perché non siamo in grado di vedere nel futuro. Però uno sguardo attento al passato ci aiuta a farci un'idea su quello che ci sta per cadere addosso.

Una volta era colpa dei vulcani


  Come è noto, le esplosioni di alcuni vulcani in passato provocarono danni e conseguenze mai viste. Cito giusto uno per tutti, il Krakatoa, il quale innescò una minicrisi ambientale, le cui conseguenze durarono qualche anno prima di ritornare più o meno ad una nuova normalità ambientale.
  Di una evenienza particolare in un lontano passato non conosciamo il vulcano, ma sappiamo delle conseguenze. Gli effetti furono globali, lasciando evidenti tracce nei ghiacciai, negli anelli di crescita degli alberi, nelle stratificazioni terrestri e nelle sedimentazioni lacustri e marine. Delle conseguenze ci resta traccia in racconti storici ed addirittura nelle fattezze geografiche del nostro paese, come vedremo in appresso.
  Una cronaca cinese registra per l'anno del Signore 535 un forte boato sentito in tutto in paese di mezzo proveniente dal Sud. Quale fosse l'estensione del fenomeno ce lo fa capire Cassiodoro, il quale per quell'anno ci fa sapere che: “Il sole sembra aver perduto la sua luminosità, ed appare di un colore bluastro. Ci meravigliamo nel non vedere l'ombra dei nostri corpi, di sentire la forza del calore del sole trasformata in debolezza, e i fenomeni che accompagnano normalmente un'eclisse prolungati per quasi un intero anno”.
  Proprio in quell'anno Roma era sotto assedio da parte dei Goti, ed ai drammi di una guerra che coinvolse duramente quasi tutta la metà settentrionale della nostra penisola, a partire dal 536 si aggiunsero carestie, epidemie e rovesci climatici di ogni genere.
La linea di costa del 590 d.C. visibile nei Valli di Comacchio
  Fu un crescendo di guai metereologici che culminarono nel 589, come ci narrano diverse fonti dell'epoca: "Eodem tempore tante pluvie fuerunt, ut omnes dicerent, quod diluvium inundaret, et talis cladis fuit, qualem a seculo nullus meminit fuisse." Si narra che il Tevere crebbe tanto da superare l'altezza delle mura cittadine, vale a dire che gran parte del centro urbano fu spazzato via. Non solo abitazioni ed edifici pubblici in genere, ma anche granai e depositi di vettovaglie furono devastati senza pietà e come se non bastasse vi fu una coda di epidemie implacabili. Altro che "bombe d'acqua"!
  Non solo Roma passò un guaio e sono molte le notizie per il resto d'Italia che ci danno un quadro approssimativo ma egualmente drammatico di quanti fossero i danni. Sappiamo ad esempio che la città di Verona fu interamente sommersa da una piena dell'Adige e molti fiumi della Pianura Padana, Po compreso, cambiarono il proprio corso.

Quel che si vede non si può negare


  Proprio nel nord-est dell'Italia le conseguenze furono di tale dimensione, che hanno lasciato un segno visibile sino ad oggi. Se seguiamo con attenzione l'andamento della linea di costa da Cervia (Romagna) a Grado (Friuli-Venezia Giulia) troviamo segni evidenti. Il primo si trova nelle Valli di Comacchio. Quello che resta dopo secoli di bonifiche della antica laguna è attraversato da una specie di lunga penisola. Solitamente questa stretta striscia di terra viene interpretata come linea di costa di epoca etrusca, solo perché sul lato sinistro settentrionale si trova l'antica città etrusca di Spina.
  Ma basta seguire l'andamento verso sud della lingua di terra, uscendo dalla laguna, e si vede che, dopo aver lambito il lato orientale di Ravenna passa lungo Classe (antico porto militare romano) per arrivare a Cervia. Questo vuol dire innanzitutto che non è solamente la linea costiera etrusca, ma anche romana, vale a dire che tale era almeno fino al VI secolo dopo Cristo. Inoltre la lingua di terra che attraversa le Valli di Comacchio ci dimostra chiaramente che la linea di costa fece un vero e proprio salto, attestandosi più o meno lungo la linea della Statale Romea, la quale a sua volta segue verso nord in direzione di Venezia fino a raggiungere l'inizio del cordone sabbioso, il Lido, che delimita la laguna veneta verso il mare Adriatico. Questo stesso cordone prosegue idealmente la linea della Romea, che qui invece svolta a sinistra per aggirare la laguna da ovest.
  Seguiamo allora il cordone e poi oltre la linea costiera, per incontrare di nuovo una laguna, quella che termina con la cittadina di Grado.
  Sulla formazione, soprattutto sull'epoca in cui si sarebbe formata la laguna, si rincorre una ridda di ipotesi. Chi la vuole cotta e chi la vuole cruda, non si capisce come e quando si sarebbe formata. Io vedo che, con quanto sopra detto, la laguna non può che essersi formata a cavallo del 590, anno più anno meno.
  Con il descritto diluvio tutti i corsi d'acqua che scendono dalle Alpi in tempi relativamente brevi hanno scaricato lungo la costa una quantità straordinaria di detriti misti ad acqua, una massa di terra semiliquida, la quale verso il mare ha subito, per la pressione delle onde, un compattamento orizzontale, mentre nell'entroterra un compattamento verticale che ha portato  alla formazione delle lagune. Ci sarebbe ancora molto da dire in merito, ma salto subito ad un'altra osservazione che secondo me ha il peso di una prova.
La necropoli di Aquileia
  Alle spalle della Laguna di Grado si trova l'antica ed importante città di Aquileia. In questa città anticamente c'era un grande porto, il quale, pur essendo, secondo quanto si è desunto dagli scavi archeologici, fluviale, non poteva trovarsi troppo lontano dal mare, di certo non potevano essere i circa dieci chilometri odierni. Se poi andiamo a vedere il sepolcreto romano, ad un esperto di antichità dovrebbe saltare agli occhi un fatto veramente straordinario: lo stato eccezionale di conservazione dei sepolcri, paragonabile a quello di Pompei, il che significa che fu coperto quando era ancora in uso e che l'interramento fu estremamente rapido, tanto che nessuno ha avuto più la possibilità di recuperare materiale edilizio o prendersi qualche bel pezzo di marmo lavorato per decorare il proprio bordopiscina.

La fine del mondo moderno


  Il mondo antico a questo punto finisce, come si è sempre sostenuto, con l'abdicazione forzata di Romolo Augustolo nel 475, solo da un punto di vista amministrativo o burocratico. Fisicamente e materialmente finisce con il mini diluvio del 589. In Italia scomparì gran parte della rete stradale, un buon numero di porti (Roma ad esempio), intere città, quasi tutte le strutture amministrative e di direzione politica. Scomparvero anche le varie forze armate. Per i Longobardi fu allora una passeggiata prendersi l'Italia intera, dove finire di distruggere e razziare quel poco che era rimasto.
  Dunque diamoci una regolata!

venerdì 24 giugno 2016

Nuove prospettive per l'Europa

  La notizia del giorno, toppata da tutte le prime pagine dei quotidiani a stampa, è l'uscita della Gran Bretagna, o Regno Unito che dir si voglia, dalla sedicente Unione Europea. Ora che la novella, quella vera, si è diffusa tramite etere e rete, molti tendono a convincersi che è una brutta notizia. Questa opinione basa sulla reazione delle borse, apparentemente negativa. Nessuno riflette sul fatto che queste ipercelebrate borse hanno un andamento umorale ed occasionale, alla breve o alla lunga si riaggiusteranno, dopo che qualcuno ci ha rimesso e qualcun altro ci ha guadagnato.
  C'è poi un preoccupato bisbiglio sulle future sorti dell'Europa Unita, una crescente angoscia per la fine di un sogno che i popoli del nostro continente avrebbero condiviso sino ad ora. Ci sono principianti dell'informazione che paventano disastri economici di portata biblica con miliardi di scambi commerciali che andrebbero a scomparire per sempre. Ci si offre insomma una ampia scelta di cavolate, nessuna delle quali è in grado di farci capire veramente cosa stia succedendo.

La notizia vera è un'altra

Innanzitutto un paio di elementi che vengono sottovalutati. Il referendum è stato possibile, perché un certo strato politico inglese ha pensato che sarebbe stato utile per distrarre la popolazione da altri fatti e potesse coprire diatribe interne; evidentemente erano convinti che gli inglesi difficilmente avrebbero scelto l'uscita dall'Unione e tanto valeva rischiare una mossa potenzialmente suicida. Non si dimentichi qui che gli inglesi si erano ritagliati una posizione privilegiata all'interno dell'Unione, tanto da mantenere la sterlina e tanti altri ingiustificabili privilegi. Poi ci sta il fatto che da almeno due decenni da parte degli Stati Uniti, intesi in modo generico, per non ripetere sempre "multinazionali" e "poteri finanziari", premono per far saltare l'Europa. In particolare vorrebbero far zompare l'Euro, che al loro dollaro dà molto fastidio. Se riuscissero nel loro intento, saremmo noi europei a pagare i loro guai finanziari.
  C'è una interessante intervista di qualche anno addietro, nella quale Alan Greenspan ce lo fa candidamente capire. Alla precisa domanda dell'intervistatrice: "Come mai avete permesso la nascita dell'Euro?" né più né meno rispose: "Eravamo convinti che gli europei litigassero subito attorno alla nuova moneta e che dunque sarebbe fallita nel giro di poco tempo". Neanche lo scatenamento di una guerra in Yugoslavia era riuscita a far saltare l'Unione Europea, che avrebbe tolto di mezzo il pericolo di una valuta di riferimento internazionale in concorrenza con quella di Zio Paperone.

Il duello tra Euro e Dollaro

  Nel periodo in cui l'Euro era in gran crescita, tanto che pure io mi potei permettere un viaggio negli Stati Uniti, la preoccupazione per il dollaro era alta. Piano piano in molte aree del mondo iniziava a circolare la valuta europea e qualcuno pensò anche di farsi pagare il petrolio in Euro e non più in dollari. Ci aveva pensato anche Saddam in Irak, ma gli fecero capire che non era il caso impiccandolo, col seguito di una messa in scena di ben due guerre per distruggere e devastare l'intera area.
  Il problema che hanno gli americani è facile da capire, anche da parte di chi non ha grande dimestichezza con i misteri dell'alta finanza. Gli americani, o meglio la "Federal Reserve", stampano allegramente biglietti verdi come se fossero coriandoli senza dover temere una crescita incontrollata dell'inflazione. Gran parte del malloppo infatti entra in circolazione all'estero, per la fetta maggiore nel commercio petrolifero, ma anche come "valuta reale" in tanti paesi del terzo e quarto mondo, al fianco delle valute locali delle quali pochi si fidano.
foto di E. Esbardo
  Se, come in effetti sta accadendo, in molti paesi invece che il dollaro iniziasse a circolare l'Euro o i paesi produttori di petrolio l'accettassero in pagamento, per gli USA si metterebbe male. La risacca di dollari avrebbe l'effetto di uno tsunami dalle conseguenze disastrose. Tempo fa anche la Francia pensò di poter pagare in dollari il petrolio, ma gli americani fecero loro capire che avrebbero trovato di sicuro il sistema di impedirglielo non solo con le buone.
  Detto questo, il "brexit" è per certi ambienti una buona notizia, perché sono convinti che l'uscita dall'Unione da parte della Gran Bretagna porterà inevitabilmente alla fine del progetto europeo. Ebbene, io, che non la penso come tutti gli altri, sono convinto che certi americani e certi inglesi si sono dati allegramente la zappa sui propri piedi. Questo episodio infatti in tempi per ora non prevedibili porterà alla fine storica del Regno Unito, indebolirà l'asfissiante controllo amerikano esercitato anche attraverso la NATO ed aprirà nuove prospettive di rinascita europea.

I conti senza l'oste

  Va ricordato che gli americani hanno buoni motivi per temere una reale risorgenza europea. Abbiamo il doppio dei loro abitanti ed una struttura ed un potenziale industriale ben più solido del loro, per non parlare di una popolazione culturalmente un passettino più avanti che potrà fare la differenza in caso di risveglio culturale e morale.
  Senza l'oste pare aver fatto i conti l'Inghilterra anche in fatto di questioni interne. Non è per niente da sottovalutare il fatto che in tutta la Scozia, con oltre il 60% dei NO, di fatto si è lanciato un nuovo referendum per l'indipendenza, che questa volta porterebbe quasi sicuramente ad un SI, con conseguente fine storica della Gran Bretagna, e se così sarà si batteranno con nuovo vigore per la propria indipendenza anche i separatisti dell'Irlanda del Nord, mentre nei loro pub, tra una pinta di birra e l'altra, pure i Gallesi inizieranno a discutere tranquillamente di un loro possibile distacco dalla Corona.
  Digeriti i contraccolpi finanziario-borsistici, per l'Europa Unita si apriranno nuove prospettive. Una fine dell'Unione, che qualcuno oltre oceano in qualche modo pregusta, potrebbe invece essere un handicap per quelle multinazionali che ci vedono come, o vorrebbero che noi fossimo, un facile territorio di conquista. Una porcata come il TTIP la puoi fare solamente se hai come controparte quattro burocrati che non sai da chi hanno avuto deleghe e potere, non controllati da un Parlamento che parla molto, ma senza poteri reali su niente. Se scomparisse l'Unione Europea, anche malconformata come è adesso, scomparirebbero o si trasformerebbero accordi ed imposizioni troppo favorevoli agli "investitori" amerikani ed i filibustieri yankee dovrebbero fare i conti con tanti diversi governi e governicchi con i quali non sarà possibile mettersi d'accordo tanto facilmente.

Il peso della storia

  Questa è una prospettiva molto remota, dato che esiste l'Euro, che nonostante tutto ha fatto comodo e continua a fare comodo a troppi europei per poter essere fatto sparire. Il problema per noi dunque non è quello di mettere fine ad un "sogno", ma di farlo diventare una realtà operante non eterodiretta. Troppo poco ci chiediamo cosa sia stato tutto quello che ha portato all'attuale Unione. Rifare la storia dell'Europa e del suo sviluppo politico dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi ora sarebbe troppo lungo, ma si può almeno riassumere giusto per capire un po'.
  Con la fine del cosiddetto secondo conflitto mondiale -una immane catastrofe per il nostro continente- l'assetto politico ripartì praticamente da zero. Nuove frontiere e linee di demarcazione furono tracciate alla faccia delle sincere aspirazioni di pace ed unità che crescevano potentemente dal basso. Gli strateghi a stelle e strisce pensarono bene di sfruttare questa atmosfera, ma per creare uno strumento utile per la loro personale guerra contro la Russia. La cosiddetta Europa dei 12 doveva fare da cane da guardia in Europa contro "l'impero del male" quale volevano farci credere fosse l'Unione Sovietica. Quando la linea di demarcazione che divideva in due il continente si dissolse, l'Unione Europea fu usata come docile strumento per l'espansione aggressiva della NATO. Non è di certo un caso che NATO ed Unione Europea abbiano entrambe la loro sede a Bruxelles.

Possibili scenari futuri

  Il guaio (per gli amerikani) è che questi europei, pur prendendo, almeno in parte, per buone le tante stupidaggini velenose contro l'Europa che le televisioni sotto controllo diffondono a piene mani, hanno fatto diventare un pezzo di realtà anche un'Unione Europea della gente e delle opportunità, alla quale l'Euro in fondo fa comodo e che oggi difficilmente, anche se lo vorrebbe diverso, non può più istintivamente farne a meno.
  Insomma, l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea apre nuove opportunità per l'Europa e per il processo di integrazione continentale. Finita la Gran Bretagna, saremo ben felici di accogliere Scozzesi e Gallesi quali nuovi membri. Gli Irlandesi già ci stanno e gli inglesi saranno i benvenuti se vorranno.

venerdì 20 maggio 2016

Fuori dal coro

Brevi considerazioni su Marco Pannella

  Mi dispiace, ma non posso associarmi al coro. Che sia morta una persona di 86 anni affetta da due tumori è comunque triste, ma anche ovvio e normale. Oltre a questo non posso nemmeno aggiungere la mia voce al grande mantra collettivo sulle virtù ed i grandi meriti di Marco Pannella.
Da quando ho cominciato a capirci un poco di politica, ho smesso di apprezzare Marco Pannella, di considerarlo un grande personaggio, un benefattore dell'umanità, un eroe dei diritti e delle libertà ecc ecc ecc.
  Nel 1974, la sera della vittoria del NO al referendum sul divorzio, c'ero anche io a festeggiare in via del Tritone sotto la sede del Messaggero, seduto sul tettuccio aperto della 500 di mia sorella e brandendo una copia del Messaggero con il più grande titolo cubitale mai visto:"NO".
Col passare del tempo il bagliore filoradicale, che sembrava andare tanto d'accordo con la mia fondamentale impostazione di sinistra, perse l'effetto di accecamento da flash e tornai a vedere le cose in modo più chiaro. Potrei parlarne per ore, ma cerco di riassumere al massimo: Pannella, in modo crescente, e con lui tutta la sua banda appresso, mi appariva sempre di più un pifferaio magico, capace di imbambolare tanti creduloni per raggiungere obbiettivi non confessati apertamente.
  Il suo battersi scomposto e caciarone per singoli "diritti" o pezzetti di libertà staccati da ogni contesto, fatti passare per temi di sinistra, ha contribuito a confondere le idee in modo definitivo a chi si sentiva di essere di sinistra senza saperne il vero motivo.
  Pannella citava sempre a sproposito Gandhi blaterando di nonviolenza, ma poi era fondamentalmente un violento pure lui. Ma lo avete mai ascoltato coscientemente quando abbaiava le sue pretese (non richieste), quando diceva di essere aperto al dialogo con tutti, ma partendo dalla ferma ed incrollabile idea che solo lui avesse ragione su tutto?
  Questo suo modo di pretendere spazi che andavano molto oltre il suo reale consenso elettorale, che in democrazia dovrebbe valere qualcosa, ha alla lunga convinto molta gente che vince chi urla e strilla di più, non chi ha idee, proposte e motivi concreti, giusti e soprattutto ampiamente condivisi.
Non gli si può nemmeno ascrivere, come molti fanno erroneamente, di aver scoperto lo strumento del referendum abrogativo, ma gli si può solo ascrivere un abuso di tale mezzo, in principio giusto e sacrosanto, tanto da snaturarlo.
  Ultimo fatto cui vorrei accennare al volo, e che ben poco sarà trattato dal coro dei coccodrilli giornalistici e televisivi, è la sua dichiarata appartenenza alla massoneria e la sua provenienza dal Partito Liberale, quello del secondo dopoguerra rimesso in piedi in Italia dagli americani…
Chiudo con una domanda retorica: Perché i radicali in memoria di Pannella non raccoglieranno mai le firme per un referendum contro le leggi che lasciano mano libera alle banche?

lunedì 25 aprile 2016

L'insurrezione di aprile


Un articolo del 1948 di Giorgio Amendola tutto la rileggere, perché ci aiuta meglio a capire cosa successe veramente 71 anni fa e quanto sia importante non dimenticare!
(articolo pubblicato in: Rinascita - n. 8 - 1948)

Il governo democristiano e le forze politiche che lo sostengono hanno da tempo iniziato contro il nostro Partito una campagna di calunnie e di menzogne, accusandolo di tramare oscuri complotti contro la legalità repubblicana e di preparare l'attuazione di piani segreti per scatenare nel paese un movimento insurrezionale.
La maggior parte del popolo italiano ha vissuto recentemente, dal 1943 al 1945, da Napoli a Torino, una grande e tragica esperienza insurrezionale, dalla quale esso ha direttamente imparato che l'insurrezione non e un giuoco di pochi cospiratori; l'insurrezione per noi è cosa molto seria, è mobilitazione e lotta di milioni e milioni di cittadini, è anzitutto un grande movimento politico di masse che trascina la maggioranza dei lavoratori in una lotta alle sorti della quale è affidato l'avvenire del paese.
Tutti i venti mesi della resistenza furono caratterizzati da una vivacissima lotta politica, che si svolse in seno ai C.L.N. e, in primo tempo, tra i C.L.N. e le forze organizzate attorno al governo Badoglio, per la direzione politica del movimento di liberazione e per la sua piattaforma politica.
Il governo Badoglio, fuggito da Roma il 9 settembre, responsabile del crollo dell'esercito italiano, non poteva dirigere la guerra di liberazione. Una nuova direzione politica, espressione delle forze popolari che avevano scelto da sole nella generale decomposizione del vecchio stato italiano la via della lotta, doveva guidare il movimento popolare. Sorsero i C.L.N., il C.L.N. Centrale a Roma, il C.L.N. alta Italia, i C.L.N. Regionali, provinciali, periferici, tutta una nuova organizzazione politica che aderiva concretamente alle esigenze della lotta e che permetteva la più larga mobilitazione delle masse popolari. La lotta tra la vecchia direzione politica, espressa nel governo Badoglio, e la nuova direzione dei C.L.N. caratterizzò tutto il primo periodo della resistenza; e minacciò, col dualismo di organi direttivi che si verificò nel territorio occupato, di paralizzare lo sviluppo dell'azione, finché, per l'iniziativa del compagno Togliatti, formato il primo governo di Unità Nazionale, la direzione unitaria di tutto il movimento fu realizzata con l'affidare ai C.L.N. nei territori occupati la rappresentanza del governo centrale e l'esercizio della funzione di governo fino all'arrivo delle forze alleate. Ma la lotta politica tra le forze conseguentemente democratiche, e quelle conservatrici, continuò vivace in seno ai C.L.N., dove liberali e democristiani assolsero quasi sempre ad una funzione di freno. Infatti le forze politicamente e socialmente conservatrici, fin dal momento del crollo del regime fascista, non si sono limitate ad agire dal di fuori del nuovo sistema politico di forze democratiche e popolari, fronteggiandolo, e combattendolo, ma hanno sempre combinato assai abilmente questa opposizione esterna con l'azione in seno a questo nuovo sistema, per minarne l'unità, indebolire la saldezza; e rallentarne e ostacolarne i movimenti. È stata questa la funzione dei liberali e dei democristiani in seno ai C.L.N., aiutati in questa opera da quei «socialisti» e azionisti che hanno poi dimostrato il loro asservimento agli interessi di quelle forze che si proponevano, malgrado la caduta del regime fascista, di mantenere in piedi la vecchia struttura reazionaria della società italiana.
La questione centrale attorno alla quale si svilupparono tutte le polemiche e si determinarono i principali dissensi politici fu quella dell'attesismo, affrontata apertamente nelle prime settimane, ma poi ripresa quasi ininterrottamente, ora sotto un aspetto ora sotto un altro, fino agli ultimi giorni, fino agli ultimi tentativi di trascinare il movimento nazionale sulla via della capitolazione e del compromesso col nemico.
Gli attesisti proclamavano l'inutilità della lotta, la necessità di restare tranquilli fino all'arrivo degli alleati, l'opportunità di limitare l'opera della Resistenza a una attività di assistenza agli sbandati e di informazioni agli alleati. La questione, che assumeva a volte un aspetto di tecnica militare, era in realtà schiettamente politica, e investiva direttamente il carattere e la base politica del movimento di liberazione. Infatti gli attendisti temevano la mobilitazione del popolo, necessaria per condurre avanti seriamente la guerra di liberazione, temevano che il popolo risvegliato da questa partecipazione alla grande lotta liberatrice potesse all'indomani della liberazione imporre la sua volontà di rinnovamento politico e sociale del paese. Essi si opponevano perciò allo sviluppo delle azioni di guerra contro i nazi-fascisti. Ora, non soltanto vi era un problema nazionale -assicurare che la liberazione dell'Italia avvenisse col concorso degli italiani, per cui l'Italia potesse risorgere al suo posto di grande Nazione riscattata dal valore e dal sacrificio dei suoi figli migliori- che dettava l'obbligo di sviluppare una lotta a fondo senza quartiere. Non soltanto vi era la necessità di affrettare l'ora della liberazione e di abbreviare la durata delle sofferenze, colpendo il nemico ovunque si trovasse, rendendogli la vita impossibile, immobilizzando ingenti sue forze sul fronte interno, seminando nelle sue file il panico ed affrettandone la resa. Non soltanto bisognava impedire al nemico di portare a compimento i suoi piani di distruzione e bisognava salvare il salvabile dell'apparato industriale, già tanto logorato dai bombardamenti aerei, per assicurare per l'indomani della Liberazione il massimo di occupazione e di pane ai lavoratori italiani. Ma la necessità dell'azione, della lotta senza quartiere, nasceva altresì dal bisogno di difendersi dalle prepotenze nazi-fasciste, di impedire le deportazioni in Germania e gli arruolamenti forzati nelle formazioni fasciste, di opporsi alle razzie di uomini, di viveri, di bestiame, di cose, di mantenere uniti e organizzati gli sbandati della prima ora, trasformandoli in combattenti. Un grande industriale, che si arricchiva nel traffico con i tedeschi, poteva comodamente, praticando con sicurezza il doppio giuoco, aspettare l'arrivo degli alleati. Ma gli operai e i soldati ritiratisi sui monti potevano cercare una possibilità di salvezza anche individuale, soltanto organizzandosi in formazioni disciplinate e combattendo duramente per difendere con le armi strappate ai nemici la vita e la libertà. E fu quello che avvenne. La creazione delle Brigate Garibaldi indicò la via a tutte le forze della Resistenza. Le forze conseguentemente democratiche, gli operai, i soldati, i lavoratori più coscienti, il nostro partito, marciarono sulla via della lotta e impressero, di fatto, a tutto il movimento la loro concreta direzione.
Ma gli attendisti non si diedero per vinti e cercarono in ogni modo di frenare lo sviluppo e l'estensione della lotta, di ostacolare, in particolare, la mobilitazione delle più larghe masse popolari. Uno dei motivi più frequentemente avanzati dagli attendisti per ostacolare lo sviluppo della lotta era l'asserita opportunità di non esporre la popolazione civile alle rappresaglie del nemico. In realtà, dal momento che si era iniziata la guerra partigiana, il problema era stato già risolto nell'unico modo possibile, compatibile con l'osservanza del nostro dovere nazionale, cioè nel rifiuto di sottostare al vigliacco e barbaro ricatto degli invasori tedeschi e dei traditori fascisti. Cedere al ricatto voleva dire arrestare completamente l'attività partigiana, rinunziare alla lotta, consegnare le armi, capitolare di fronte al nemico. Né potevano valere le considerazioni spesso avanzate dagli attendisti, che miravano a attenuare l'intensità della lotta, a escludere certi mezzi di offesa, a evitare che determinate azioni venissero compiute entro le città. Non era problema di mezze misure. La rappresaglia tedesca si abbatteva cieca ed indiscriminata, né mai era possibile prevederne la direzione e la portata. Se vigliaccamente colpiva con la fucilazione dei 320 martiri delle Fosse Ardeatine i patrioti romani dopo l'azione di guerra compiuta dai GAP a Via Rasella, essa si mostrava feroce anche fuori della città, nelle montagne e nelle campagne, arrivando per il taglio dei fili telefonici e per il semplice rifornimento dei viveri ai partigiani a incendiare intieri villaggi e a massacrare la popolazione, uomini e donne, vecchie e bambini, come tragicamente ci ricordano le 2000 vittime di Marzabotto. No, le rappresaglie non si evitavano attenuando la lotta, a meno di non rinunciarvi completamente e di tradire così il proprio dovere. Le rappresaglie si combattevano al contrario intensificando la lotta, reagendo colpo su colpo, provocando nelle file nemiche perdite sempre più grandi, e facendo molti prigionieri. Quando le nostre unità garibaldine hanno incominciato a fare dei prigionieri, allora il nemico, sordo a ogni considerazione umana, ma sensibile al linguaggio della forza, scese a patti e cercò di cambiare gli ostaggi contro i prigionieri.
Questa era l'unica via, via dura e sanguinosa, la via del combattimento a oltranza, quella segnata dalle gesta dei partigiani dell'U.R.S.S. e delle altre nazioni europee, la via del resto che ci era indicata dagli stessi appelli dei comandi alleati e dai proclami del governo italiano.
Contro la minaccia che le rappresaglie costituivano per tutti i cittadini italiani, non restava che un mezzo di difesa; l'unione di tutti gli italiani contro queste iene arrabbiate, l'unione nella lotta comune, nel sempre maggiore allargamento del Fronte della Resistenza. Ogni uomo, ogni donna, ogni ragazzo diventava un combattente della libertà.
Naturalmente gli attendisti si opponevano a questo allargamento del fronte della Resistenza, che poneva il problema di una mobilitazione e di una organizzazione permanente delle masse popolari. Tutta la polemica sui C.L.N. periferici svelava la preoccupazione retriva che le masse lavoratrici potessero acquistare, attraverso ad una attiva partecipazione a questi organismi popolari di auto-governo, una nuova esperienza politica, schiettamente democratica.
Su tutti questi problemi, i fatti decisero di ogni controversia. La pariteticità dei C.L.N., così strenuamente difesa da liberali e democristiani, non reggeva di fatto di fronte alla capacità creativa delle masse in lotta ed al potente impulso che esse imprimevano allo sviluppo della situazione politica. Le tesi che noi comunisti avevamo per primi sostenute trionfarono di ogni resistenza perché esse interpretavano le necessità più sentite del movimento di liberazione, e perché esse erano suffragate dall'immediata esperienza della lotta. Così le forze di avanguardia della classe operaia impressero a tutto il movimento, concretamente, la loro direzione politica e l'avviarono, malgrado tutte le resistenze, verso la necessaria conclusione: l'insurrezione.
L'insurrezione di Napoli aveva già chiaramente indicato che «la guerra partigiana avrebbe dovuto avere la sua conclusione e il suo sblocco logico in una insurrezione generale armata che precedesse l'arrivo degli alleati, si svolgesse in concomitanza di una offensiva decisiva e sbaragliasse il fronte della ritirata nemica. Dopo Napoli la parola d'ordine dell'insurrezione finale acquistò un senso e un valore, e fu allora la direttiva di marcia per la parte più audace della resistenza italiana», (LONGO, Un Popolo alla macchia, pag. 102).
Ma come bisognava concepire e preparare questa insurrezione? Alcuni, e erano di fatto sempre gli stessi sostenitori dell'attendismo, la vedevano e la presentavano come un'azione lontana, da scatenare a una misteriosa ora X. Intanto, nell'attesa di questa ora fatale, bisognava non muoversi, «non scoprire le forze», dicevano, preparare bene i piani, ecc. Naturalmente, per questa via, se pure questa ora X avesse dovuto mai scoccare, null'altro sarebbe stato pronto, se non i piani elaborati a tavolino. L'idea dell'insurrezione, sostenevamo noi comunisti, doveva invece significare «rafforzamento permanente, coronamento e sbocco di tutta la lotta di liberazione», «non semplice parola d'ordine, ma un compito concreto e immediato di preparazione politica e di mobilitazione. Si doveva perciò continuare, allargare, generalizzare la lotta di liberazione nazionale già iniziata: quella armata, partigiana in primo luogo, ma anche la resistenza di massa alle ingiunzioni fasciste e il movimento rivendicativo delle masse lavoratrici contro i propri oppressori o sfruttatori» (LONGO, Un Popolo alla Macchia, pag. 131).
E, nello schema del rapporto politico presentato alla Conferenza dei Triumvirati Insurrezionali del Partito comunista italiano, pubblicato nel numero 19-20, 25 Novembre 1944, di «La nostra Lotta», si affermava in esplicita polemica con le posizioni degli attendisti:
«l'insurrezione nazionale per cui noi ci battiamo e che vogliamo potenziare sempre di più non è una misteriosa preparazione per «il momento buono» per una apocalittica ora X, ma è la guerriglia di ogni giorno che deve colpire permanentemente e con tutte le armi il nemico, ovunque si trovi, guerriglia che dobbiamo intensificare e estendere sempre di più, fino a liberare completamente e definitivamente porzioni sempre più grandi del territorio nazionale ».
Durante tutto il 1944, man mano che il movimento partigiano si veniva rafforzando e estendendo si allargava pure in tutto il territorio occupato la lotta delle masse lavoratrici. Non si può comprendere lo sviluppo del movimento partigiano e la sua capacità di resistenza e di attacco davanti alle preponderanti forze nemiche, se lo si isola dall'insieme dei grandiosi movimenti di lotta delle masse popolari italiane che durante tutti i venti mesi non si stancarono di opporsi all'invasore, di attaccarlo in continuazione con una serie di lotte rivendicative, economiche, politiche, di strappargli delle concessioni, di imporgli in ogni momento la prepotente iniziativa popolare. Fu prima la classe operaia a sviluppare l'attacco. Dalla fine del 1943 al grande sciopero generale del marzo 1944 fu un seguirsi di agitazioni, di fermate di lavoro, di scioperi, che ridussero sostanzialmente la produzione, dimostrarono l'impotenza dei barbari occupanti, incoraggiarono i partigiani e diedero l'esempio della resistenza a tutti i lavoratori italiani. Dietro questo esempio altre categorie di lavoratori scesero in lotta. Nell'estate del 1944 furono i contadini che si rifiutarono prima di trebbiare il grano e poi, visto che gli alleati non arrivavano, lo trebbiarono sotto la protezione delle SAP, non lo portarono agli ammassi ma lo nascosero e lo consegnarono ai C.L.N. Furono i contadini a organizzare la difesa armata dei prodotti della terra, a impedire le razzie di bestiame. Furono le donne che manifestarono apertamente davanti ai municipi per richiedere pane per i loro figlioli, l'aumento delle razioni alimentari, la concessione e l'aumento dei sussidi per le famiglie dei caduti e dei prigionieri.
Così veniva attuata la direttiva contenuta nel messaggio inviato ai comunisti della zona occupata dal compagno Togliatti, subito dopo il suo arrivo a Napoli.
«L'insurrezione nazionale non deve essere opera solo di un'avanguardia ma di tutto il popolo. Non è mai ammissibile che esista una situazione in cui solo i piccoli gruppi sono attivi e grandi masse aspettano senza intervenire nella lotta. Combinate insieme i colpi dei piccoli gruppi e le azioni militari più vaste con movimenti e azioni di grandi masse, allo scopo di arrivare all'insurrezione nazionale».
E nel rapporto politico presentato alla riunione allargata della Direzione per l'Italia occupata del Partito comunista italiano (11-12 marzo '45) si poteva affermare che:
«già nei mesi scorsi l'insurrezione nazionale in marcia si è polarizzata da una parte nella lotta armata che ha assunto aspetti sempre più generali e un più deciso vigore e dall'altra nella lotta rivendicativa popolare che si è manifestata in scioperi, in manifestazioni di strada, in sabotaggi collettivi e individuali. Sono queste due forme di lotta, combinate e fuse in un tutto unico, che hanno scardinato lo Stato fascista, infranto i suoi piani, fatto fallire ogni sua iniziativa, scavato un abisso incolmabile tra nazi-fascismo e popolo italiano».
Alla guerriglia partigiana si accompagnava sempre più intensa durante l'ultimo inverno la guerriglia economica contro la fame, il freddo e il terrore nazi-fascista. Alle lotte operaie e contadine, si aggiungeva, nelle grandi città, la lotta delle donne, dei ragazzi e dei vecchi che assalivano treni e depositi di carbone, organizzavano il taglio di alberi nei boschi e nei parchi. Contro la guerriglia economica di massa i nazi-fascisti si rivelarono impotenti. I lavoratori e le loro donne avevano saputo adottare la tattica partigiana del colpo di mano, della sorpresa. Era tutto il popolo che si liberava, con un susseguirsi di scioperi, di manifestazioni di agitazioni, di atti di guerriglia, ininterrottamente, in mille punti del territorio, in modo da non lasciar tregua all'attaccante, di aggredirlo da tutte le parti, di minarne la capacità di resistenza.
In verità, come afferma un titolo de «L'Unità» del settembre 1944, L'insurrezione nazionale è in marcia, titolo che esprime efficacemente tutto lo sviluppo del processo insurrezionale e che diventa una parola d'ordine del Partito, a indicare che l'insurrezione è già in atto, e si realizza nel moltiplicarsi delle brigate e divisioni partigiane, nell'accrescersi della loro aggressività, nell'audacia dei GAP, nell'armamento di tutti i lavoratori inquadrati nelle SAP delle fabbriche dei rioni, dei villaggi nella liberazione di vaste zone di territorio, nell'affermarsi in queste zone di nuovi organi di potere popolare, nel portare la guerriglia nelle città e nelle campagne, nella lotta degli operai contro la produzione bellica per il nemico e contro il collaborazionismo degli industriali traditori, nello sviluppo del movimento popolare contro la fame il freddo e il terrore nazi-fascista, nella lotta contro i nemici e i sabotatori del movimento di liberazione nazionale, contro l'inganno e l'illusione delle pacifiche evacuazioni, contro ogni tendenza al compromesso e alla capitolazione. Nell'autunno del 1944, sei mesi prima dell'assalto finale, l'insurrezione nazionale era già la realtà di un popolo in armi.
E in questa lotta le masse popolari venivano organizzandosi. Nascevano i C.L.N. nelle fabbriche, nei rioni, nei grandi casamenti operai, negli uffici, nelle Università, persino nei Ministeri e nelle Prefetture. Un nuovo potere popolare nasceva nella lotta contro il vecchio potere nazi-fascista sempre più indebolito; un nuovo potere popolare la cui autorità era riconosciuta dal popolo, un nuovo potere che poggiava sulla forza armata del movimento partigiano e sul consenso delle masse lavoratrici.
Quando il mattino del 25 aprile i lavoratori armati scesero nelle strade per l'assalto finale, la vittoria era già sicura, malgrado l'enorme sproporzione dell'armamento che tuttora sussisteva. Non era una piccola avanguardia di combattenti isolati che attaccava, ma tutto un popolo che si rivoltava contro un governo logorato da venti mesi di guerriglia popolare, battuto e demoralizzato, condannato politicamente e moralmente dalla coscienza della nazione.
L'insurrezione dopo la lunga e eroica marcia arrivava vittoriosamente alla sua meta. I C.L.N. assumevano tutti i poteri, che dovevano poi, in base agli accordi internazionali, cedere ai comandi alleati.
Si è aperto con questa vittoria del popolo un nuovo periodo della storia italiana nel quale quegli ideali di libertà e di giustizia per i quali hanno combattuto e sono caduti i migliori figli del nostro popolo dovranno finalmente trionfare.
Nessuno potrà impedire che quelle sacrosante aspirazioni divengano finalmente la realtà della nuova Italia.
GIORGIO AMENDOLA