venerdì 21 agosto 2015

Il problema sono i musei, non gli stranieri

Stiamo guardando la punta del dito che la indica, invece di guardare la luna. La situazione in generale dei beni culturali in Italia è disastrosa, ma si discute solo dei nuovi direttori di una manciata di istituti

 Non ho seguito con attenzione la polemica nata dopo la nomina di alcuni "stranieri" a direttori di importanti e straordinari musei italiani; vorrei prima scrivere quello che penso io, e poi mi leggerò le opinioni di Daverio, Sgarbi e chi altro ancora…
  In linea di principio non sono in nessun modo contrario al fatto che un non italiano -inteso come cittadino italiano per nascita e cultura- possa andare a dirigere un nostro museo. Non è neanche la prima volta, basti pensare, per il settecento, a Johann Joachim Winckelmann, il quale fu nominato prefetto delle antichità di Roma, oppure Jakob Philipp Hackert che fu pittore di corte del re Ferdinando IV di Napoli e partecipò al primo allestimento del Museo di Capodimonte.
Dinu Adameșteanu
(immagine tratta dal sito "Il Lucano Magazine")
  Altri stranieri, e non solo tedeschi, furono chiamati a guidare la un tempo prestigiosissima Accademia di San Luca, e cito giusto a memoria Anton Raphael Mengs, Bertel Thorvaldsen e Charles Le Brun. In tempi più vicini a noi resta indimenticabile il rumeno, naturalizzato italiano, Dinu Adameșteanu, che fu funzionario statale, il quale alla guida delle Soprintendenze di Basilicata e Puglia, difese il patrimonio archeologico da ogni attacco e creò una qualificata rete di musei, di rango nazionale.
  Adameșteanu rappresenta una punta di eccellenza assai rara, ma non si deve credere che basti essere stranieri per fare meglio di qualsiasi italiano. Potrei citare diversi casi, nei quali supertitolati stranieri, chiamati con l'idea che fossero capaci di fare miracoli, hanno fatto cilecca e causato danni al nostro patrimonio culturale. Ma qui stendiamo un pietoso velo.
  Chiarito il primo punto, cioè che mi stanno bene degli stranieri a dirigere i nostri migliori musei, dico subito, con eguale chiarezza, che ritengo l'operazione appena fatta una inutile spacconata che non porterà nulla, anzi, rischia di peggiorare ulteriormente la situazione già spaventosa del patrimonio storico, archeologico ed artistico nazionale.
  L'ho già sentito dire e concordo pienamente, che si tratta solamente di fumo agli occhi, una trovata pubblicitaria senza che vi sia più un prodotto vero da pubblicizzare.
L'umiliata Biblioteca dei Girolamini a Napoli
  Mi chiedo con una certa angoscia cosa succederà ancora. Quello che non si dice è che nel corso degli ultimi 30-40 anni il declino della tutela del patrimonio culturale è stato crescente, spaventoso, barbarico. Il saccheggio della Biblioteca dei Girolamini a Napoli è solamente la punta di un iceberg. Nel più totale silenzio di giornali e televisione si è messa in atto una devastazione mai vista che sarebbe assai lunga da descrivere minuziosamente.
  Franceschini, che fa il Ministro dei Beni Culturali (dire che sia ministro mi pare esagerato) probabilmente non ha idea di come stiano le cose. Leggendo le sue note biografiche si capisce che durante la sua vita non ha mai avuto contatti con le problematiche legate alla tutela e soprattutto alla gestione del nostro immenso patrimonio culturale, a parte magari la sua partecipazione a qualche comitato o commissione parlamentare. Anzi, fonti ben informate, sostengono che a lui di beni culturali non importa un piffero. Sta lì a fare qualcosa per mettersi in bella vista, facendosi probabilmente mal consigliare da qualcuno che il patrimonio culturale lo odia.

L'abbazia di Montecassino, simbolo delle devastazioni belliche
Il disastro nel settore dei beni culturali non è cosa nuova nel nostro paese. Accenno giusto per gli addetti ai lavori alla polemica ottocentesca sull'editto Pacca oppure la prima legge del 1908. Con il periodo del regime fascista, che solo a parole e per evidenti scopi politico propagandistici si dichiarava protettore dei beni culturali, ci sono rimaste almeno le leggi 1088 e 1089 del 1939, volute da Giuseppe Bottai, che riuscirono a limitare in buona misura i danni. Con la seconda guerra mondiale il nostro patrimonio attraversa il suo periodo più nero, con il saccheggio, la dispersione, la distruzione ed il danneggiamento di archivi, biblioteche, musei, zone archeologiche ed edifici storici.

Per arginare il disastro, con la legge del 26 aprile 1964, n. 310 fu istituita la Commissione d'indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio, presieduta da Francesco Franceschini, non solo casualmente omonimo del nostro facente funzione ministro, ma di pasta completamente diversa. I tre volumi degli atti sono ancora oggi di grande interesse, soprattutto per tante soluzioni proposte, delle quali però non si tenne troppo conto in seguito.
Atti della Commissione Franceschini
  Fu comunque importante, soprattutto per l'impulso che seppe dare all'interesse generale per i beni culturali, tanto che nel 1974 si arrivò alla nascita del Ministero per i Beni Culturali per iniziativa, così si racconta, di Giovanni Spadolini. Sembrava che i tempi bui per archeologia, storia ed arte fossero finiti, ma col senno di poi si può dire che non fu proprio così.
  Non passarono neanche 10 anni, ed il frequentatore di discoteche Gianni De Michelis, fido accolito di quel galantuomo di Craxi (il padre putativo di Berlusconi) si inventò e promulgò nel corso di un convegno indetto dal PCI di buona memoria la dottrina dei "giacimenti culturali", dichiarando i beni culturali "il nostro petrolio". Una posizione assurda ed abberrante che ha dato il via allo smantellamento definitivo della cultura italiana.
  L'unicità del patrimonio culturale italiano è data dal fatto che esiste da sempre un intreccio ed un legame profondo tra storia, arte e cultura ed il territorio, comprese le comunità che ci vivono. La storia è talmente lunga, che anche i musei e le raccolte artistiche hanno radici lontane e profonde. Quando in Italia già esistevano musei pubblici, nel resto d'Europa si cominciavano a collezionare, in mancanza d'altro, conchiglie, animali imbalsamati, feti orridi sotto spirito ed altro ciarpame assortito.
  La cultura in Italia, per certi aspetti, non era appannaggio unico dei regnanti o degli aristocratici, ma anche un gran numero di carrettieri, contadini e popolani sapevano a memoria la divina commedia o la Gerusalemme liberata, e chi non la sapeva, se l'ascoltava con attenzione e riverenza, convinto che si trattava di storie che lo riguardavano direttamente, personalmente. Ferdinand Gregorovius un giorno a Trastevere, nella ressa della Festa de' Noantri rimase scioccato quando, dopo aver inavvertitamente pestato un piede ad un popolano si sentì minacciare con la frase: "Bada straniero, che nelle mie vene scorre sangue troiano!"
Edificio storico americano ricostruito in un museo statunitense
  Nei paesi di origine dei nuovi direttori di alcuni dei nostri musei (perché poi solo alcuni? e tutti gli altri?) l'intreccio tra museo, opere d'arte, cultura in genere se c'e, non è certo dello spessore e della portata che a noi pare ovvia. Per non parlare degli Stati Uniti! Non ricordo esattamente dove, ma vidi in un museo una piccola raccoltina di bassorilievi egiziani ed altri reperti archeologici (manco a farlo apposta di provenienza poco chiara, ma comunque italiana) esposti lungo un corridoio, per poi passare in grandi sale nelle quali dietro elefantiache vetrine stavano accatastate valigie, bauli, sedie, canestre, scatole, bambole, vasi, brocche, càntari, lampade a petrolio ed ogni altro bene che i primi immigrati dall'Europa si erano portati appresso. Se il direttore del museo si vendesse un bassorilievo egiziano, gli chiederebbero quanto ci ha ricavato, ma se vendesse anche solo un pitale in ferro smaltato: apriti cielo! Orrore e raccapriccio!
  Comunque sia, il problema non sono i direttori dei musei che vengono dall'estero. Li dovremo giudicare alla prova dei fatti. Il vero problema sono i musei e le condizioni critiche in cui si trovano dopo decenni di assurdità, malversazione, rapina, saccheggio, distruzione e dispersione. Tutta la baracca dei beni culturali è stata sfasciata, e, come si dice a Roma, neanche se scende Cristo in persona ci si riesce a mettere una toppa.

De Michelis mentre elabora l'idea dei "giacimenti culturali"

 L'idea dei "giacimenti culturali" ha avuto conseguenze di lunga portata e pezzo dopo pezzo, anno per anno l'intero sistema è stato svuotato ed annichilito. Dai tempi di Craxi non è stato più fatto un concorso regolare per assumere il personale, dai custodi ai funzionari dirigenti. Per la struttura del Ministero, dalle Direzioni Generali fino alle Soprintendenze, il personale è stato mano a mano reclutato nei modi più disparati, fino al trionfo delle cooperative per coprire a malapena le falle del sistema, cooperative usate da gestori privati esterni che hanno in mano e controllano i servizi di musei, biblioteche, scavi archeologici, archivi e monumenti. Queste società invece di apportare, naturalmente tolgono. Non danno alcun servizio culturale o scientifico, ma producono gadgets. I direttori dei musei oramai, prima di decidere di fare qualche iniziativa, mostra o altro nel proprio istituto, devono chiedere lumi non al Soprintendente, ma all'amministratore delegato di turno di questi servizi, servizi che hanno quasi sempre bellissime sedi, dove mancano solamente le poltrone in pelle umana.
  Invece di servizi che dovrebbero fornire producono invece feste, cene, pranzi, sfilate di moda, eventi mondani ed altre cazzate di pessimo gusto che non portano niente ai musei, se non danni d'immagine ed anche materiali. A proposito! Franceschini, il sedicente ministro, pare abbia detto che i direttori stranieri dovranno aumentare i visitatori ed accorciare le file alle casse. Ma come potranno farlo? Qualcuno dovrebbe dire a Franceschini che le biglietterie sono strettamente in mano alle società "di servizi", che le gestiscono con personale avventizio supersfuttato e che hanno come unico obbiettivo il proprio profitto. Mi chiedo in che lingua i direttori stranieri parleranno con quella gente; il loro italiano accademico, tutto precisino, non basterà di certo.

mercoledì 12 agosto 2015

La mia piccola compostela



  Oramai è talmente di moda fare il cammino di Santiago di Compostela, la "via francigena" per intenderci, che a me personalmente quasi non attira più per niente, a parte il fatto che non ne avrei il tempo e le risorse, almeno per adesso.
  Ora, visto che da circa 30 anni regolarmente ogni 10 agosto vado ad Amaseno, nel cuore dei Monti Lepini, per vedere il prodigio del sangue di San Lorenzo, ma sempre e solo comodamente in automobile, ho pensato che una volta tanto sarebbe stato il caso di provare a fare almeno un pezzo a piedi per arrivarci.
  Così sono arrivato col treno alla Stazione di Priverno-Fossanova, da dove, zaino in spalla, senza sapere quanto fosse lungo il tragitto e senza cartina alla mano ho cominciato a camminare. Lungo una trafficata strada provinciale, provvista di regolamentare guard-rail, non è sempre consigliabile, ma di certo si offre l'occasione di fare una prima quasi sorprendente scoperta: dietro al guard-rail esiste un mondo sconosciuto. Sappiamo quanta monnezza si possa scoprire lungo le strade di campagna, come vedremo anche in seguito, ma delle schifezze che si nascondono ai bordi delle strade provinciali, regionali e statali possiamo renderci conto solamente muovendoci col cavallo di San Francesco.
Lo splendido portale della chiesa abbaziale
di Fossanova. Siamo nei primi decenni
del medioevo, quello vero.
  Appena superati i primi due chilometri colgo l'occasione di una prima tappa tutta in tema, l'abbazia di Fossanova. Anche questo è un luogo ben conosciuto e ci sono stato tante volte, ma non ero mai passato sotto l'arco d'ingresso a piedi; una sensazione del tutto nuova, così come si prova un certo piacere a non perdere tempo per trovare un parcheggio per la macchina, possibilmente all'ombra. Bella di fuori e di dentro, pensando a tutto quello che ha passato durante la sua storia, è quasi un miracolo che si sia salvata. Un attimo di raccoglimento nella chiesa deserta e poi due passi nel chiostro. Per puro caso scopro che una signora sta aprendo una porta che avevo sempre trovato chiusa: l'antica cucina dei cistercensi. Speravo di vedere antichi fornelli, ma anche qui moderni architetti avevano rimodernato, e delle antiche strutture non restava traccia. Ora il locale viene usato come refettorio dai dieci francescani che popolano discretamente quel che resta della dimora cistercense.

  Riprendendo il mio cammino, mi accorgo di un fervore attorno a delle spoglie strutture di legno e balle di fieno buttate un po' dappertutto. Chiedo a due giovanotti se fosse in preparazione una fiera e la sorridente risposta è: "No, stiamo preparando la festa medioevale!". Avrei voluto spiegare ai ragazzotti che la roba che stavano mettendo in scena col medioevo avrebbe avuto molto poco a che fare; semmai sarebbe stato qualche cosa di rinascimentale condito con figuranti da tardo barocco campestre. Comunque non avrebbe avuto senso parlarci. Prima o poi saremmo arrivati alla "spada celtica" ed avrei sicuramente perso la pazienza.
  Tornato a sgambettare sulla provinciale, dallo strano nome "Marittima II", vado verso Priverno, la vecchia Piperno nonché antichissima Privernum, consapevole del fatto che prima o poi avrei dovuto svoltare a destra per trovare una strada che seguisse il piede della montagna e tagliasse verso Amaseno. Con la macchina sarei andato direttamente sulla superstrada ed in cinque minuti, o forse meno, sarei arrivato allo svincolo. Senza cartina era un po' un terno al lotto, ma andavo avanti fiducioso, sperando di incontrare qualcuno sul mio cammino, una pia illusione.
  Ad un certo punto, dopo varie curve, avvisto ed identifico il fiume Amaseno e poco prima di Priverno un ponte nuovo di zecca, non ancora aperto al traffico automobilistico ma transitabile dai pedoni mi permette di raggiungere l'altra sponda. Dall'altra parte trovo una strada, apparentemente asfaltata, che secondo me, ma non ci avrei messo la mano sul fuoco, andava dritta verso la mia meta.
  Neanche cento passi ed il manto d'asfalto scompare, ma non del tutto. Ne restano lacerti qua e la e dove i lacerti sono un po' più ampi, contengono immancabilmente delle buche che vanno dal fastidioso al tattico; a causa di un potente temporale di due giorni prima i danni all'ex manto stradale si dividevano in "buca" e "buca con acqua". (verifica questa citazione)
Una delle buche meno peggio
    Un manto stradale così assurdo, praticamente due dita di catrame e brecciolino spalmato frettolosamente su di una normale strada campestre spianata con due botte di ruspa e cosparsa di qualche camionata di sassi o vecchi calcinacci, è un tipico esempio di asfaltatura preelettorale, che solitamente regge fino al primo giorno dopo le elezioni. Ha comunque i suoi effetti: il sindaco uscente può dire nel comizio di chiusura che non si è dimenticato degli agricoltori ed è quasi sempre a costo zero: in vista di sostanziosi appalti la locale ditta di movimento terra ha mandato la ruspa ed il camion, l'ingrosso di materiali per l'edilizia il brecciolino, l'imprenditore edilizio i calcinacci e la ditta di costruzioni stradali ha fornito l'asfalto economizzato usandone di meno rispetto al capitolato in un'altra strada pagata fior di soldi dalla Regione o dalla Provincia.
  Io a mia volta penso però che la breve durata di queste asfaltature ci conserva la visione di strade di campagna sterrate che hanno un loro indubbio fascino. Seguono l'andamento dolce del terreno, disegnano lievi curve, girano rispettosamente attorno a degli alberi della cui ombra si può godere, specialmente in giornate fin troppo soleggiate. Ai lati di queste strade poi crescono e prosperano piante selvatiche di ogni genere, capaci di dispensare ristoro al viandante. Ho potuto assaggiare more di ogni tipo. Pensavo che le more fossero di un tipo solo, ma mi sbagliavo alla grande! Possono variare non solo nelle dimensioni, ma anche nel sapore, nell'aroma, nel retrogusto. Dopo almeno sei chilometri di more diverse devo dire che se un sommelier mi dicesse che un tal vino ha sentore di more selvatiche, gli chiederei subito di quali more selvatiche sta parlando e pretenderei che fosse un poco più preciso.
  Oltre alle more abbondano i fichi ed ora è il momento di particolari fichi settembrini che sono maturi già ad agosto, Alcuni sono di una dolcezza straordinaria ed è un vero piacere mangiarne. Un po' meno gradevoli al primo impatto sono le prugne selvatiche, belle a vedersi, ma ancora allappano da morire. Più buone saranno alla fine di settembre. Ottime sin da ora sono comunque le pere. Ne ho assaggiata una che mi ha letteralmente inebriato di profumi e dolcezza. Credo che neanche da ragazzino ne mangiai una del genere.
Blocchi squadrati provenienti da qualche edificio antico distrutto
  Comunque di mora in prugna ad un certo punto sentivo i piedi che iniziavano ad appesantirsi. Rallentando comunque iniziavo anche ad osservare con maggiore attenzione i particolari cui passavo accanto. Anche qui, come già accennato, monnezza di ogni tipo, anche se distribuita diversamente rispetto alle strade provinciali e regionali. In molti casi si trattava di rifiuti vecchi, come dei copertoni d'automobile pietosamente coperti da un velo di terra. In altri casi resti metallici ormai arrugginiti che spuntano da piccoli montarozzi sotto ai quali forse si nascondono le spoglie di elettrodomestici arcaici ed altre suppellettili dalle fattezze irriconoscibili. Comunque l'Italia è un paese classico, antico, e non ci facciamo mancare niente. Sul bordo della strada ho infatti avuto occasione di ammirare alcuni blocchi di calcare ben squadrati, chiaramente antichi, appartenenti a qualche fastidioso rudere che intralciava la costruzione di una bella casa abusiva moderna…
  Ma non tutto è bruttezza, ed a un certo punto mi sono goduto un colpo d'occhio che mi ha fatto capire perché i viaggiatori del Grand Tour parlavano di paesaggi italiani romanticamente belli. Guardando verso Maenza me ne sono reso conto: se non fosse stato per i tralicci di una linea elettrica, quello che avevo di fronte poteva anche essere l'acquerello di un viaggiatore anglosassone del primo ottocento.
Grazie ai filtri di Photoshop posso qui presentare un falso acquerello con la veduta di Maenza.
  Talmente preso da questa sconvolgente bellezza, mi ero totalmente dimenticato di verificare se stavo sulla strada giusta e se i miei piedi, alle prese con i primi doloretti, mi stavano portando nella direzione corretta. Come d'incanto incrocio un signore, ad occhio e croce settanta anni, maglietta arancione e cappelletto colla visiera. Alla mia timida domanda dove andasse la strada mi fà: "Ad Amaseno". È stato un vero sollievo, ma poi ho chiesto se mi potesse dire quanto ad occhio e croce mancasse all'arrivo; "Dodici chilometri" la pronta risposta. "Grazie arrivederci…" e già mi facevo qualche calcolo su quanto fossi in ritardo. Completamente a piedi non ce l'avrei più fatta. Realisticamente sarei arrivato verso le due, ma su quella strada l'unico incontro era stato sino a quel momento solo il passeggiatore arancione. Di macchine neanche l'ombra. Avevo però qualche speranza, visto che mi aveva detto che dopo essere passato sotto la superstrada, avrei dovuto prendere un'altra strada provinciale che mi avrebbe portato alla meta.
  Arrivato su questa agognata provinciale, proprio davanti alla suggestiva cappella di Santa Maria della Pace, potevo sperare ti trovare qualche passaggio, ma c'erano solamente un paio di automobili ed un maestoso trattore che andavano nella direzione opposta. Così ho superato anche una enorme cava di calcare che a grandi mozzichi si sta mangiando il monte sulla cui cima si trova Roccasecca dei Volsci.
Un campo di mais da foraggio abbattuto dalla tempesta
  Ad un certo punto sento alle mie spalle il rumore di un'automobile. Mi giro, vedo la macchina, tiro fuori il pollice a mo' di "like" di facebook. La macchina si ferma e posso salire. Al volante un mio coetaneo che mi dice che anche lui stava giusto andando verso Amaseno, un sollievo indescrivibile. Cerco subito di attaccare bottone, ma squilla il suo telefono. Il dialogo era in stretto idioma locale, e nonostante la mia discreta conoscenza di diverse varianti laziali dell'italiano, di fronte al dialetto vero riuscivo a captare solamente qualche parola qua e là. Si trattava comunque di vacche, di terra, di piante, di tempeste ed altri accidenti. Finita la telefonata, ebbe la cortesia di spiegarmi che tre giorni prima c'era stata una vera e propria bufera, che gli aveva buttato giù il granturco da foraggio per le vacche e le bufale e che ora si trovava nei guai. Aggiunse che ci si metteva anche il governo, che invece di aiutare, gli aveva non solo messo nuove tasse, ma gli aveva anche tolto la nafta per il trattore.
La diga medioevale deturpata
  Veramente per quando riguarda il governo aveva usato un tono molto deciso, infiorettato da espressioni che non sto qui a ridire, sia perché dialettali, sia perché non mi pare opportuno ripeterle. Comunque tra un delinquenti di qua ed un mascalzoni di là arriviamo ad un bivio al quale mi comunica che le nostre strade si dividevano. Un caloroso ringraziamento ed un cordiale saluto, e di nuovo me ne vado avanti a piedi.  Ero sceso in un punto che mi era sempre piaciuto, nel quale il corso dell'Amaseno deve superare una piccola diga risalente al medioevo, che convogliava parte delle acque verso un mulino abbandonato ormai da tempi immemorabili. Con mia sorpresa vedo ad un lato della diga un cazzotto a un occhio in cemento, oltre a lavori e movimenti che hanno stravolto un colpo d'occhio che era rimasto immutato da tempi remoti. Dopo mi sono informato, per scoprire una cosa che per ora vorrei definire "curiosa". Qualcuno, ma non si riesce a sapere chi, ha avuto la bella idea di costruire sulla diga alta circa un metro una centrale idroelettrica. Se l'Italia fosse un paese normale, avrebbero forse restaurato e ricostruito l'antico mulino, ma come al solito c'é di mezzo qualche geniale geometra e qualche originale architetto, in combutta col solito assessore o sindaco di turno che deve per forza fare qualcosa di "nuovo", senza porsi il problema che forse va a causare danni irreversibili.
Due strisciate di fertilizzante naturale, dal caratteristico odore
  A parte i danni causati dall'uomo, ho potuto rendermi conto anche di cosa parlava così animatamente il brav'uomo che mi aveva dato il passaggio. Lungo la strada c'erano diversi campi coltivati a mais da foraggio allettati dalla forza dell'uragano, uno spettacolo desolante, che fa capire quanti guai possono capitare in agricoltura, non solo a causa del governo. A proposito di agricoltura! Andando a piedi per le campagne si ha la straordinaria occasione di percepire odori che altrimenti restano confinati fuori dai finestrini ben chiusi delle automobili. Di solito sono profumi di fiori o erbe aromatiche, ma si incontrano anche veri e propri muri di odori forti, per i quali si ha bisogno di farci l'abitudine, causati dalla concimazione naturale con lo stallatico di vacche e bufale. Che da quelle parti si usi poca chimica me lo hanno dimostrato le tante trote che vivono nel fiume Amaseno, uno spettacolo che non vedevo più da anni.

Le trote nell'Amaseso, uno spettacolo quasi incredibile
Odori o profumi, ecco che dopo l'ennesima curva mi appare davanti la meta agognata: Amaseno! Guardo l'orologio e scopro che forse faccio a tempo anche per la messa. Gli ultimi metri non sono stati facili, dato che i piedi cominciavano a minacciare scioperi o comunque forme di dolorosa protesta ma mi restava solamente di attraversare il mercatino che viene allestito in occasione della festa di San Lorenzo. Il mercato comunque questa volta non era come al solito. Le bancarelle erano molte di meno rispetto agli anni precedenti e c'era un'atmosfera da apocalisse. In tutta fretta i commercianti stavano ammucchiando la loro roba e si incitavano vicendevolmente a fare più presto. Non mi ero accorto che alle mie spalle, sui bordi della vallata che avevo appena attraversato, si stavano formando minacciosi nuvoloni. Si vedevano i primi lampi che rischiaravano lo scuro crescente.
  Entrando in chiesa ho potuto cogliere le ultime frasi della predica, mentre fuori cadevano i primi goccioloni. Finita la messa come tutti gli anni mi sono messo in fila per vedere da vicino l'ampolla col sangue, che questa volta era molto più limpida e trasparente degli anni passati. Ogni volta me la guardo e ci penso, quanto sia bello osservare una cosa incomprensibile. Viviamo un'epoca con tanti cialtroni che sparano certezze e non si sa dove le vadano a prendere. Tutto, secondo loro, sarebbe spiegabile. Beh, quell'ampollina, il cui contenuto fu analizzato, se non sbaglio nel 1912, da una commissione di medici e chimici, tra i quali anche un bravo ateo a maggiore garanzia di verità, ha rivelato che si tratta effettivamente di materiale ematico. Quello che non riuscirono a spiegare fu il fatto di come questo materiale biologico, tra l'altro conservato in un contenitore non ermeticamente chiuso, non venisse attaccato da muffe o batteri e come facesse a sciogliersi senza alcuna sollecitazione chimica o fisica ogni anno esattamente il 10 agosto, ricorrenza del martirio del Santo.
  Uscendo dalla chiesa, tutto era bagnato, ma aveva appena finito di piovere, così me ne sono potuto andare tranquillo verso il secondo appuntamento ad Amaseno: il ristorante "Da Giotto". Per farla breve: antipasto di montagna, ravioli alla ricotta di bufala, spezzatino di bufalo, torta alla ricotta di bufala con noci fresche. Visto che il tema di questo post è la mia piccola Compostela, del pranzo riferirò dettagliatamente magari su trip-advisor. Comunque la fortuna, o forse proprio San Lorenzo, mi ha assistito anche per il ritorno, ed è stato lo stesso Giotto in persona a presentarmi un suo vecchio compagno di scuola che mi ha riportato in macchina alla stazione da dove ero partito per il mio cammino e dove ho trovato subito un treno che ho preso al volo. Mi sa che l'anno prossimo lo rifaccio, ma in bicicletta.