mercoledì 7 agosto 2019

Lettera aperta a Nicola Zingaretti

Caro Nicola Zingaretti,
  già altre volte mi sono permesso di scriverti via posta elettronica in replica a tue missive non richieste a me indirizzate, ma risposta mai mi giunse. Non so se perché tu sia un po' maleducato, oberato di lavoro o circondato da collaboratori totalmente incapaci e non all'altezza dei compiti loro affidati.
  Questa volta dunque non ti scrivo direttamente, ma affido il mio messaggio alla loquace piazza di facebook, sperando in cuor mio che qualcuno prima o poi ti riporti quanto qui mi accingo a stilare nero su bianco.
  Ti premetto che pur essendo un vecchio comunista appartenente alla famosa frazione di Mario Brega di verdoniana memoria, non sono in nessun modo e maniera vicino, attratto o simpatizzante del PD, neanche per sbaglio. La cosa la espressi subito e senza peli sulla lingua nel 2007 in occasione della fondazione del PD stesso. (https://youtu.be/yCeogUZ0FuI); ma questo comunque non mi impedisce di operare nei tuoi confronti una cauta attenzione, presupponendo che tu sia in fondo in fondo una persona per bene. Ora, da che hai preso in pugno, almeno così si vuol far credere, le sorti di questo partito, o presunto tale, mi aspetto azioni capaci di mostrare concretamente che la drammatica e disgustosa parentesi della masnada fiorentina sia giunta al termine ed archiviata per sempre.
  Devo al contrario ora lamentare l'ennesimo caso in cui una grande occasione è stata sprecata, con conseguenti gravi danni non solo per il PD, della cui sorte sinceramente ben poco me ne cale, ma di tutto questo nostro disgraziato paese, ormai saldamente nelle stritolanti mani di una variopinta accolita di profittatori, mascalzoni, ladri, beffardi truffatori e ciurmaglia di deficienti assortiti al seguito.
  Innalzo ora ad un cupo cielo i miei lai disperati per l'ennesima grande occasione persa per riportare il nostro martoriato paese, non dico ai grandi splendori di cui per il nostro passato possiamo pur vantarci, ma almeno ad una dignitosa normalità, della quale tutti profitteremmo.
Non hai impedito al PD di votare compatto assieme ai nemici di sempre, alle combriccole laide ed immorali, ai relitti di un passato orrido dal quale ci siamo in passato liberati, almeno per un po' di tempo, anche grazie al tributo di sangue offerto dalla tua stessa famiglia. La tua imperdonabile mancanza è tanto più grave quanto più si considera che avresti potuto prendere due piccioni con una sola fava!
  Bastava che, come qualcuno aveva già proposto, il PD in occasione del voto sulla mozione del Movimento Cinque Stelle contro l'inutile scempio della Val di Susa, avesse abbandonato l'aula. L'effetto alla lunga sarebbe stato ad occhio e croce questo: la mozione sarebbe passata, si sarebbe aperto uno scenario in cui, in vista di nuove elezioni in seguito all'uscita dal governo della Lega, si sarebbe dischiusa la possibilità di una trattativa e possibile collaborazione col suddetto Movimento, in vista di una coalizione o alleanza, unica possibilità in positivo per il nostro futuro; allo stesso tempo sarebbe stato più facile espungere dallo scroto del PD le fastidiose zecche dalla 'c' aspirata.
  Non l'hai fatto così tanto per non farlo, non te l'hanno fatto fare o addirittura ti hanno costretto a non farlo? Sarei curioso di saperlo, ma tanto non mi hai mai risposto e sono sicuro che non mi risponderai neanche questa volta.
Fraterni saluti

giovedì 18 luglio 2019

Sulle antiche feste unitarie civitane

Dalle memorie inedite di un vecchio comunista:

"… nel 1971 cadeva un anniversario molto importante per il Partito: erano passati esattamente 50 anni dal Congresso di Livorno, durante il quale ebbe luogo la scissione all'intero del PSI, dalla quale nacque il nostro Partito Comunista Italiano. Per l'occasione il Partito chiedeva a tutti i quadri dirigenti e militanti uno sforzo particolare per onorare in modo degno la ricorrenza. Dalla Federazione di Roma, tramite il Comitato di Zona di Albano arrivò in Sezione una circolare ciclostilata nella quale si invitava tutte le sezioni ad organizzare una "Festa dell'Unità", grande momento propagandistico e di lotta per mobilitare le migliori forze del paese in un momento che sembrava propizio per un grande balzo in avanti del Partito sulla via Italiana al Socialismo.
La circolare me l'ero letta per primo, anche perché ero io che andavo regolarmente ad Albano per tenere i contatti con il comitato di Zona. In quel momento c'era una situazione un po' particolare in Sezione. Con un congresso il vecchio segretario di sezione, ex sindaco durante gli anni più duri dell'occupazione delle terre e della guerra fredda, era stato sconfitto da un giovane carpentiere metallico, il quale, dopo una intera gioventù molto lontana dalla politica, a parte la richiesta di raccomandazione al Parroco, -andata a buon fine con un bell'impiego come autista presso un'ambasciata latino-americana- sulla via di Damasco, o forse di San José (ma fa lo stesso), era caduto dall'automobile diplomatica e si rialzò da terra comunista.
Questo giovane segretario era dunque di primo pelo rosso e non conosceva, o meglio, non riteneva le feste dell'Unità cosa sufficientemente importante da perderci tempo e sentenziò che non era possibile organizzare così, su due piedi, una festa dell'Unità a Lanuvio.
La cosa mi sembrava alquanto strana, e chiesi lumi ad un compagno, Oreste Renzi, che sin dal primo momento in cui lo incontrai in sezione mi sembrò molto sincero ed affidabile (va detto che per fortuna non era l'unico), col quale discussi la questione apertamente ed alla fine decidemmo che se al segretario non fregava niente della festa, noi l'avremmo organizzata lo stesso!
Dal Comitato di zona ci arrivarono i tabelloni di una mostra che illustrava la storia dell'Unità, dai primi gloriosi inizi durante le lotte della classe operaia torinese, attraverso la clandestinità per le persecuzioni fasciste, la lotta della Resistenza per liberare l'Italia dal fascismo e dagli invasori nazisti fino alle battaglie politiche per affermare la Costituzione Repubblicana e la Democrazia.
Nelle nostre intenzioni volevamo organizzare una grande festa, con giochi, dibattiti e concerti, oltre naturalmente uno stand gastronomico, ma riuscimmo a malapena ad istallare la mostra dietro al fontanone.
Comunque il primo passo era fatto! A partire dal 1972 le Feste dell'Unità di Lanuvio ebbero un crescendo di successi, tanto che anche altri comuni vicinori (come li chiamava il Compagno Ruggero Michetti) tentarono di imitarla, con scarsi risultati.
Ricordo con sentimenti di tenerezza lo slancio di tante Compagne e Compagni, che sinceramente e con entusiasmo partecipavano all'organizzazione dell'evento, con in mente grandi obbiettivi ed ideali, i quali con pazienza aspettavano, ed oggi ancora, aspettano di essere realizzati.
Nel 1976 non potei organizzare la Festa a Lanuvio,
dato che stavo assolvendo il mio servizio militare, ma
feci una fuga a Napoli per non perdermi il comizio di
chiusura della grande Festa Nazionale. Io sono
quello indicato dalla freccia giallorossa.
Vorrei qui fare i nomi di tutte le persone che diedero il proprio contributo alle feste, mettendoci faccia e braccia, ma non li posso citare tutti quanti. Simbolicamente ne citerò due. Ricordo in particolare Emilia (Miliuccia) Paglia, una dirigente contadina, animatrice degli scioperi contadini del 1908. Tutte le domeniche mattina mi attendeva seduta accanto alla porta della sua casetta stringendo nelle mani le poche Lire che costava allora il giornale. Una mattina, preso da una straordinaria foga da agit-prop, le consigliai di leggere un determinato articolo a non so che pagina. Lei mi fece un sorriso e disse: "Compagnuccio, ma io nun saccio lègge". Quando le chiesi perché allora si comprava tutte le domeniche il giornale, mi disse: "'O faccio p'u partitu". Miliuccia era anche una "veterana" della Festa dell'Unità di Lanuvio, quando si festeggiava alla Curva delle Fontanelle. Fu purtroppo una stagione breve quella delle prime Feste dell'Unità, ma indimenticabili. Ogni volta Miliuccia, anno per anno, veniva chiamata a furor di popolo al palco e lei cantava l'Inno della Lega.
Una volta le chiesi pure delle parole della canzone, ma ricordava ormai solamente la prima strofa; aveva anche una certa età. Ma quando lei cantava alle Fontanelle c'era ad ascoltarla con attenzione un giovane Mario Martufi, ed un giorno mi recitò tutto il testo, ed aveva pure fretta a passarmelo "primma che me scordo pure io":

Il 15 gennaio
in Genzano de Roma
se riunivano i braccianti
cò gran volontà bbona
E tutti uniti dissero allor:
famo la lega per il lavò

E noi preghiamo a vvoi
Civitani e Nemesi
de mettese alla lega
coi vostri genzanesi
Non ci tradite sarebbe 'n'eror
ch'abbiam sofferto del gran dolor

Noi abbracciamo tutti
anche se so' frostieri
noi siamo dei fratelli
però quelli veri
Non ci tradite sarebbe 'n'eror
ch'abbiam sofferto del gran dolor

Ma i patronali uniti
dissero tra di loro:
sospendere il lavoro
per affamare il povero
Compagni unimoci, unimoci sì
ch'è ggiunta l'ora, venuto è quel dì.

Quinidici giorni intieri
senza trovà lavoro
sempre si confortavano
amandosi tra loro
Viva la lega! evviva il lavor!
compagni uniamoci di vero cuor

Dopo tanto soffrire
si ebbe un dì vittoria
e si ebbe poi l'onore
di scrivere la storia
Compagni unimoci, unimoci sì
ch'è ggiunta l'ora, venuto è quel dì.

Un altro nome che credo vada fatto è quello di Dante D'Alessio (Dante de Veleno), il quale non solo fu un fiero militante antifascista quando proprio non era comodo esserlo e fu poi segretario della Sezione Lanuvina. Tante storie su di lui si raccontavano, nel bene e nel meno bene (il male mai!) ma fu anche lui ad organizzare le primissime Feste dell'Unità civitane e fu durante una di queste che ebbe luogo al Pascolaro che declamò, stringendo fermamente in pugno il sanguigno labaro l'indimenticabile frase: "Alla luce di questa Bandiera Roscia semo riccotu pe' l'Unità qundicicentu lire!"
Dante, onorando il suo nome, era anche poeta e la eco dei suoi componimenti risuonava spesso nelle più moderne feste dell'Unità au tranvf, grazie alla possente e ferma voce di Lorenzo Pomponi; a furor di popolo doveva immancabilmente declamare l'ode di Dante (de Veleno) che iniziava con le parole "Fosti abbaututo di schianto nostro simbolo e guida!" alla fine della quale intonava il più antico inno del Partito Comunista Italiano, ed al ritornello sempre qualcuno gridava la domanda: "CHI È!!!" ed il coro, nonostante il fiume di vino già scorso con voce limpida ed in modo roboante rispondeva: "La Guardia Rossa che marcia alla Riscossa!".

giovedì 21 marzo 2019

Una vittoria inquietante

Postato il 23 giugno 2016, subito dopo la vittoria elettorale di Virginia Raggi.:

Non fatevi ingannare dal titolo. Non voglio sostenere -anche perché non lo penso- che il fatto che sia diventata sindaco una rappresentante del Movimento 5 stelle rappresenti un pericolo per Roma. La nostra cara città ha visto di peggio e questa vittoria di certo non è un pericolo. Non è un pericolo per la città, ma per la formazione politica trionfante lo è di certo.
Da ricercatore storico devo dire che in primo luogo non si vuole imparare dalla storia. A volte basta fare un'analisi attenta ed un confronto serio con esperienze passate, con i dovuti e necessari "se" e "ma", e si può capire come potrà evolvere la situazione.
Dunque procediamo. Il movimento di Beppe Grillo, pilotato da Casaleggio che ora non c'è più, è passato nell'arco di pochi anni di vittoria in vittoria. Solo due anni fa non ci si sarebbe potuto credere, mentre oggi assistiamo ad una battaglia vinta dopo l'altra (delle sconfitte, episodi minori, ancora nessuno pensa di dover parlare) Del resto sono importanti le vittorie, i momentanei arresti non contano.
Sembra di assistere all'espansione dell'Impero Romano ai tempi di Ottaviano Augusto. Tattica e strategia erano giuste, ed il resto del mondo sembrava a portata di mano.
Arminio, il traditore
All'apice della sua espansione -Roma sembrava ormai imbattibile- il grande imperatore fece un errore fatale, dalle conseguenze negative tragiche da cui non riuscì più a sottrarsi. Questo errore fu la nomina di un avvocato alla carica di comandante. Sto parlando di Publio Quintilio Varo, al quale, per essere un bravo avvocato, mancava totalmente il senso pratico e non era in grado di comprendere le persone, in modo particolare i suoi nemici.
Avrebbe dovuto mettere ordine nelle lande ad est del Reno, popolate da barbari, hooligans, banditi, cacciatori e mercanti di schiavi, ed invece portò ben tre intere legioni, compreso il personale civile e le famiglie dei legionari al massacro. Nessuno sopravvisse. Quel disastro fu la fine dell'espansione inarrestabile di Roma.
Cosa ci insegna dunque questo episodio storico? Prima di tutto che un avvocato in politica non è una scelta intelligente, secondariamente che nella foresta selvaggia che è attualmente il Comune di Roma, gli Armini sono già al lavoro e rappresentano un pericolo reale che gli avvocati tendono solitamente non solo a sottovalutare, ma addirittura a non vedere.
Già, dimenticavo: chi cavolo è 'sto Arminio? Questa la definizione che ne da wikipedia: Arminio (latino Gaius Iulius Arminius) … principe e condottiero della popolazione dei Germani Cherusci, ex prefetto di una coorte cherusca dell'esercito romano, nonché traditore del Senato e del Popolo di Roma.
Poi non dite che non vi avevo avvertito!