domenica 13 maggio 2018

La strage che non ci fu

Alcune considerazione sulla cosiddetta strage del "Ponte di Ferro", la quale probabilmente, anzi, sicuramente non è mai avvenuta.

1. La fucilazione
Questa fucilazione di dieci donne non è mai avvenuta e mai sarebbe potuta avvenire come raccontata nelle "testimonianze" che la dovrebbero avvalorare. Dai racconti non si capisce se si sia trattato di esercito (Wehrmacht) o SS. La Wehrmacht non può essere stata, dato che nell'area della "Città aperta" sarebbe dovuto intervenire il "Feldgericht" (Tribunale militare dell'Esercito) di Roma, il che significa che le dieci donne sarebbero comunque transitate nella "Wehrmachtshaftanstalt" (luogo di detenzione di competenza dell'esercito - alias Regina Coeli), per cui tra Polizia, Carabinieri, Comando di Roma Città Aperta e via elencando qualche pezzo di carta ci sarebbe rimasto. Non può essere stata la Wehrmacht anche in considerazione del fatto che un assalto al forno di regola era di competenza degli organi di polizia, sia italiani sia tedeschi, e sarebbe al massimo intervenuta la Ordnungspolizei e l'affare l'avrebbe trattato uno specifico ufficio di Via Tasso. Se così fosse stato, al più tardi in uno dei tanti processi tenutisi a Roma con accuse di collaborazionismo o comunque fatti legati all'occupazione della città sarebbe venuta a galla; non ultimo se ne sarebbe anche occupato il processo a Kappler e compari, nel quale non si trova traccia di questa clamorosa fucilazione. Va poi ancora considerato che la Wehrmacht arrestava e deferiva al Feldgericht chi veniva accusato di aggressione alla Wehrmacht, sabotaggio o altro, ma non di certo l'assalto di un forno, a meno che non si trattasse di uno stabilimento direttamente dipendente dall'esercito, che sarebbe stato però sorvegliato a tal punto, che nessuna donna di Roma avrebbe mai pensato di assaltarlo.
In Roma, nel perimetro di competenza della "Città Aperta" le uniche fucilazioni eseguite su sentenza ed ordine del Feldgericht sono quelle note di Forte Bravetta.
Nelle immediate vicinanze, verso Tivoli, ci fu la fucilazione di dieci uomini il 23 ottobre 1943 a Ponte Mammolo, da parte della divisione paracadutisti "Hermann Goering", episodio che a Roma rimase quasi completamente sconosciuto, essendosene occupata solamente "l'Unità" clandestina. Il fatto ebbe luogo dopo di che la popolazione di Pietralata aveva dato l'assalto al forte abbandonato dal quale i tedeschi e fascisti asportavano continuamente materiale bellico e viveri. Dal punto di vista dei Tedeschi si trattava di un attacco al proprio esercito. Quindici popolani catturati furono anche qui sottoposti a processo sul campo, per il quale restarono reclusi per una notte e vi fu anche l'intervento di un ufficiale della PAI. Dopo la guerra il fatto fu interamente chiarito, grazie alle testimonianze di numerosi testimoni diretti o indiretti. Va notato che la zona in cui accadde il fatto si trovava al di fuori del perimetro di competenza del comando tedesco di Roma, dunque era competente uno Standgericht e non il Feldgericht.

2. Il silenzio delle fonti
Il fatto del Ponte di Ferro non può essere avvenuto, dato che non esistono documenti diretti o comunque redatti a breve distanza dai fatti. Gli archivi italiani sono stati esaminati a sufficienza e non si è trovato neanche un appunto o qualche nota. Nessuna delle tante associazioni delle vittime o delle persone coinvolte in qualche modo direttamente nelle più tristi e cruente vicende romane dei "nove mesi" ha mai raccolto qualcosa che riguardasse il presunto eccidio del Ponte di Ferro. Su tutti i quotidiani romani, indipendentemente dal colore politico, a partire dal 5 giugno fino agli inizi del 1946, se non oltre, hanno pubblicato una quantità enorme di notizie relative ai nove mesi di occupazione. Gli episodi più importanti furono anche raccolti in un libro che ogni ricercatore, ma anche dilettante di storia moderna, non può non conoscere (Roma sotto il terrore nazi-fascista : 8 settembre 1943-4 giugno 1944 : documentario / Armando Troisio - Roma - (stampa 1944) - 206 p. ; 21 cm.). Silenzio totale, neanche un accenno. Un silenzio tale è impossibile, solo se si pensa quale clamore fece in città l'uccisione da parte di un ufficiale tedesco di Teresa Gullace, fatto fin troppo noto, perché vi spenda altre parole. Figuriamoci se la notizia dell'uccisione di 10 donne in un sol colpo non avesse fatto il giro della città in modo fulmineo.

3. La Resistenza Romana
C'è da chiedersi seriamente cosa si immagini ogni singola persona ogni qual volta pronunci o senta pronunciare le parole "Resistenza Romana". Questo fenomeno storico innegabile, apparentemente limitato al periodo dell'occupazione militare della città da parte della Wehrmacht, è stato estremamente complesso, variegato, difficile da definire con poche parole. Un fatto indiscutibile e fermo è che ha avuto un ruolo importantissimo per la città e per l'Italia, indipendentemente da quello che possono affermare singole persone o sprovveduti come qualche tempo addietro Pippo Baudo, che spara sentenze senza nemmeno conoscere i fatti di cui va parlando in televisione.
Forse, anche se sarebbe veramente ora, sulla Resistenza Romana manca ancora un'opera complessiva e definitiva, che ne spieghi chiaramente tutti gli aspetti, che metta ordine nelle tante versioni, alcune fantasiose se non false come abbiamo visto, che valuti le fonti esistenti in modo intelligente ed imparziale, che restituisca la dimensione e qualità effettiva di tutti gli elementi che concorsero a formarla.
Ci sono ad esempio diversi punti di vista di chi visse quei fatti, che non sempre combaciano e che a volte sembrano riferiti a fatti isolati. Per comprendere meglio, si può dire che esistono memorie parallele della Resistenza Romana che non sempre comunicano tra di loro. Esiste il filo politico della vicenda, estremamente complesso, perché si pone all'inizio di quel profondo processo attraverso il quale l'Italia transiterà dal 25 luglio 1943 al 25 Aprile 1945. In altre parole il difficile traghettamento della politica italiana dal fascismo regio alla democrazia repubblicana parte da Roma ed arriva a Milano, dove Roma è il luogo nel quale vengono poste molte premesse fondamentali per la rinascita democratica; accenno qui giusto al patto di unità sindacale del 4 giugno 1944.

4 - L'aspetto militare
Ci sono poi i due aspetti militari, quello del Fronte militare clandestino, con a Capo il Martire della Fosse Ardeatine Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, e quello delle formazioni militari dipendenti da organizzazioni politiche, sociali o religiose, un arcipelago variegato, con poche isole ragguardevoli e tanti isolotti o barriere coralline, a volte in concorrenza tra loro, ma tutti uniti contro l'invasore tedesco ed il traditore italiano (i fascisti) e quasi tutti in collegamento con il fronte militare, che rappresenta una sorta di struttura di coordinamento, comando ed informazione, la quale faceva da ponte con gli alleati e garantiva alla Resistenza italiana, a partire da Roma, anche un riconoscimento ed appoggio internazionale. Dopo l'insurrezione popolare di Napoli il primo vero atto della rinascita nazionale italiana con la quale l'esercito tedesco viene cacciato da una grande città europea, i comandi germanici capiscono definitivamente, riflettendo anche sulla battaglia persa a Stalingrado, che in una grande città ogni esercito occupante è condannato a perdere, e dunque le cose sono due: o si evacua tutta la popolazione, trasformando la città in un campo di battaglia qualsiasi, o si fa proseguire la guerra attorno alla città, cercando di garantirsi con ogni mezzo la tranquillità nella città stessa. Anche se furono stilati dei piani in merito, non si arrivò mai all'ordine di evacuazione, che era definitivamente impossibile ed impraticabile per un grande e complesso ordine di motivi. La stessa idea di città aperta per Roma gli alti comandi tedeschi se lo erano già posto molto prima di occupare la città, e gli scopi erano diversi. Uno degli scopi principali era quello di creare un retroterra tranquillo rispetto alla linea Gustav ed avere una zona sicura alle spalle di Cassino. Ufficialmente i tedeschi strombazzano ai quattro venti la loro adesione allo status di città aperta per Roma, tanto da far disattivare i sistemi di allarme antiaereo, da un lato, e non reagire apertamente alle azioni militari delle formazioni partigiane e vietare la divulgazione di notizie relative ad atti di Resistenza. Questo per coprire l'uso strategico che si faceva di Roma, facendovi transitare convogli militari, tenendovi lazzaretti, strutture di comando del fronte, casermaggio di truppe di riserva, magazzini al sicuro dai bombardamenti. A Roma esistevano addirittura uffici militari nei quali si preparava la rioccupazione dell'Africa, convinti come erano che l'alleanza anglo-russo-americana non sarebbe durata a lungo e le "armi segrete" avrebbero risolto ogni problema militare.
È noto e risaputo, che le azioni praticamente quotidiane compiute dalle diverse formazioni impegnate nella lotta, avevano tra gli scopi principali quello di dimostrare che i tedeschi, alla faccia della dichiarazione di città aperta, utilizzavano la città militarmente. Prova ne sia, che dopo l'azione dei GAP contro una colonna della Polizia Tedesca in Via Rasella, il comando tedesco fece mettere ai limiti della città grandi cartelli col divieto di ingresso a singoli o a formazioni militari, pubblicandone la fotografia su di un gran numero di testate, allora diffuse in tutta Europa. L'effetto dell'azione di Via Rasella fu un ulteriore rallentamento dei rifornimenti di uomini e mezzi verso Anzio e Cassino, aprendo praticamente le porte di Roma all'avanzata alleata.
Importante fu l'azione complessiva della Resistenza romana anche per il fatto che tutte le sue attività rallentavano il flusso dei rifornimenti verso il fronte di Cassino o il fronte di Nettuno, e quando si parla di Resistenza Romana, si deve anche tenere presenti come parte integrante della stessa le tante formazioni che agirono nella più ampia zona attorno a Roma e che ebbero un gran numero di caduti e fucilati, dei quali si tiene memoria solo localmente nei comuni attorno a Roma, nonostante essi praticamente erano parte integrante della Resistenza romana.
Da Roma partiva anche una fitta rete informativa, alla quale parteciparono centinaia di persone, le quali in silenzio raccoglievano dati ed informazioni di rilievo militare che venivano prontamente trasmesse al comando alleato a Caserta, contribuendo in modo poco appariscente, ma sicuramente di grande effetto, alla lotta contro gli invasori.

5 - Memorie private
Non è da oggi che mi occupo della storia della Resistenza Romana, ed ho avuto occasione di sentire molti testimoni diretti, dei quali ormai ce ne restano ben pochi. Ci sono ancora tantissimi testimoni secondari, persone nate nell'arco del primo decennio dopo i fatti, oppure parenti stretti dei protagonisti, delle vittime, delle persone che erano a conoscenza di fatti diretti e che hanno vissuto di persona quel periodo e ne possono parlare. Questi testimoni secondari tramandano di solito una visione molto ristretta di quel periodo, focalizzata su quello che accadde praticamente in casa propria. Quando si trattava di una visione generale dei fatti, allora tornano a galla le cose che in quel periodo si dicevano o si sentivano dire; in parte si sentono ripetere enormi falsità diffuse dalla propaganda fascista, mentre non si sente mai parlare di fatti che storicamente, almeno tra gli esperti, valgono per assodati. Il fatto è ovvio, dato che la gente comune, pur avendo una straordinaria avversione contro gli occupanti ed un sincero e fresco odio contro i fascisti, non conoscevano e non hanno mai sentito, prima della Liberazione, i nomi dei combattenti attivi in città. La loro possibilità diretta d'informazione era limitata al proprio caseggiato, alle poche persone di cui si fidava, all'ambito lavorativo. Per il resto solo radio e giornali, i quali spargevano falsità e menzogne di ogni genere da una posizione di monopolio quasi assoluto. Anche se in città vi era una grande diffusione di giornali clandestini o di volantini, solo una parte relativamente piccola della gran massa degli abitanti veniva raggiunta, avendo i giornali ed i volantini principalmente una funzione organizzativa e motivazionale. Aiuta molto a capire da un lato cosa successe veramente e cosa si racconta ancora oggi tra la gente la lettura del libro fondamentale di Sandro Portelli (L'ordine è già stato eseguito : Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria / Alessandro Portelli - Roma : Donzelli, \2001! - VII, 456 p. ; 22 cm.). Sia qui detto che in questo ottimo libro, dei tanti testimoni diretti ascoltati, nessuno accenna al ponte di ferro.

6 - Attentati alla memoria
È sin dai tempi dell'occupazione di Roma che si cerca di sminuire il valore, l'importanza ed il significato della Resistenza Romana. Periodicamente gli attacchi si intensificano e l'ultima occasione è stata il centesimo compleanno dell'ultimo volgare assassino nazista che operò a Roma ancora vivo. La sua stessa vicenda, con la tardiva "scoperta" in Argentina ed il ridicolo processo che in primissima istanza lo volle assolto, facevano parte di un piano ben orchestrato, che puntava direttamente alla delegittimazione della Resistenza Romana, e con essa, la delegittimazione delle basi della Costituzione Democratica, nata dalla Resistenza. Per nostra fortuna il progetto è fallito, ma le forze che vogliono cancellare la nostra Costituzione stanno riprendendo vigore ed il pericolo per le basi della nostra libertà e democrazia attualmente è più grave che mai. Ora l'episodio del Ponte di Ferro, intendo il fatto della sua genesi come legenda metropolitana che si trasforma in verità ufficiale, è solamente un episodio marginale, il quale presto o tardi sarà ed andrà a finire al massimo nelle noterelle a piè di pagina di qualche trattazione storica seria ed attendibile. Importante è che qualche sconsiderato non provi ad usare questa bazzecola come grimaldello per scardinare tutta la storia vera. Il pericolo è minimo, ma questo stillicidio continuo comunque provoca danni.

7 - Libri e carta straccia
Una ultima notazione meritano i tanti libri che vengono spesso chiamati in causa. Due già li ho citati, e vanno sicuramente consultati, ma ce ne sono molti altri che meritano di essere meglio conosciuti, magari tramite una ristampa oppure una antologia. Importante sarebbe promuovere una o più pubblicazioni che diano finalmente il quadro complessivo della storia della Resistenza Romana, finanziando ad esempio delle ricerche in merito, ma non affidate a case editrici che puntano solo al lucro e ripetono solo cavolate oppure a ricercatori superficiali, imprecisi e chiacchieroni, per non parlare di professorucoli, ignoranti loro stessi, che fanno fare "ricerche" a scolari e studenti ancora più ignoranti di loro. I soldi penso che si possano pure trovare, smettendo magari di finanziare cose veramente inutili o pagando stipendi o rimediando posti a persone che vendono solamente aria fritta.
Utile sarebbe anche una seria guida bibliografica, che aiuti le persone interessate a capire meglio quali libri conviene leggere per primi e quali non ha senso leggere, a meno che non si abbia tempo da perdere.

8. - La testimonianza di Carla Capponi
Ho conosciuto personalmente Carla Capponi, così come Bentivegna e tanti altri partigiani combattenti romani. Questa sua "testimonianza" sul ponte di ferro è molto tarda e per essere così tarda, mi chiedo subito due cose:  perché "Elena" (in nome di battaglia di Carla Capponi) non ne ha mai parlato prima di un episodio così grave? Come è possibile che dopo tanti decenni i dettagli del racconto siano così ricchi e dettagliati? Non dico altro e mantengo tutta la mia stima ed ammirazione per il coraggio di Carla Capponi e la ammiro per quello che ha fatti durante i nove mesi di occupazione tedesca di Roma.

giovedì 12 aprile 2018

Lo Zio Sam ci vuole tanto bene

Mentre stavo tutto preso a gustarmi un "Wiener Schnitzl" (praticamente una cotoletta milanese, ma senza osso e cotta nella sugna invece che nel burro) ho sentito una cosa che mi pareva tanto strana, da convincermi che avessi sentito male. In pratica il TG3 sosteneva che il processo di formazione del nuovo governo sarebbe stato accelerato dalla crisi siriana.
  A conferma del fatto che avevo, purtroppo, sentito bene, arriva la dichiarazione di Pietro Grasso, il quale si sofferma sullo scenario internazionale, sarebbe a dire la minaccia di guerra amerikana contro la Siria, e avverte che si “rende necessaria un’accelerazione per la soluzione della crisi”.
Continuavo a masticare a bocca aperta con gli occhi fissi sullo schermo televisivo. Tutto quello che sentivo mi sembrava completamente assurdo, lontano dalla realtà, in qualche modo perdutamente folle.
  Solo dopo aver finito la cotoletta iniziai a riflettere. Il primo motivo di una dichiarazione tanto assurda, come lo stesso Grasso suggeriva, potrebbe essere l'intenzione di non aspettare i risultati delle prossime regionali per decidere se fare un nuovo governo o andare direttamente a nuove elezioni, le quali potrebbero portare, almeno secondo alcuni sondaggi e previsioni ponderate, alla definitiva scomparsa del PD, la dissoluzione della stessa formazione politica di Grasso, un rafforzamento, a seconda dei casi, della Lega o dei Cinque Stelle.
  Poi ci ho pensato meglio. Che bisogno c'era di tirare in ballo la Siria? Grasso ha in mente un effetto sponda, in seguito al quale una eventuale evoluzione tragica in Siria avrebbe richiesto un governo nel pieno delle proprie funzioni per far fronte alle emergenze causate da un grave scontro bellico davanti alla propria porta di casa? Forse vorrebbe far capire con la frase: “…la situazione internazionale e nazionale non ci consente di valutare, in questo momento, l’utilizzo di missili o bombe”, che senza un governo non possiamo neanche partecipare ai botti?
  Un poco la nebbia si dirada dopo aver sentito la demente affermazione di Emma Bonino :"l’Italia deve rimanere nel quadro delle alleanze euroatlantiche e, in quella sede, partecipare senza ondeggiamenti pericolosi a discussioni sul se, come e quando intervenire, magari utilizzando gli strumenti del diritto internazionale".
  Il vero problema dunque non sembra essere il fatto che l'Italia lanci qualche petardo assieme agli altri, ma il "quadro delle alleanze euroatlantiche". Sarebbe a dire che "gli alleati" (leggi più correttamente: il Governo degli Stati Uniti") non vuole avere governi terzi rompiscatole quando deve testare una nuova generazione di armi contro un paese a caso che si affaccia sul mediterraneo; stavolta tocca alla Siria.
 
Con questa chiave di lettura si capisce cosa intendeva veramente Grasso: Ragazzi! Facciamo subito un governo qualsiasi e stiamo attenti a non pestare i calli allo Zio Sam; tutto il resto chissene frega.
La frase della donna con turbante invece ci fa capire finalmente un'altra cosa ancora. Io mi sono sempre chiesto per quale motivo la pseudocapitale dell'Unione Europea avesse sede a Bruxelles. Molti, erroneamente pensano che fosse per la sua posizione centrale, ma evidentemente non è così. L'espressione che usa Emma ce lo fa capire: "alleanze euroatlantiche". L'Alleanza atlantica, NATO per gli amici, ha sede a Bruxelles, e quella che è oggi l'Unione Europea ne è un'appendice, possibilmente docile docile.
  Non mi voglio dilungare troppo, ma qualcuno ha una gran paura che in Italia possa nascere un governo a guida grillina, che, si badi bene, è il primo e più forte partito italiano, cioè una formazione politica che ha ricevuto un chiaro mandato direttamente dagli elettori. La pseudocoalizione degli adoratori di Berlusconi è una facciata dietro alla quale si riunisce il niente, una gran voglia di rivincita, tanta fame e tanta confusione.
  C'è solamente una unica via d'uscita dall'attuale situazione, e cioè che quello che rimane del PD deve espellere dal proprio seno le vipere renziane e collaborare con il Movimento Cinque Stelle, magari coinvolgendo anche Pietro Grasso (così gli americani sono contenti).
  Io i petardi me li terrei per la prossima grande vittoria della Roma.

sabato 13 gennaio 2018

Provate voi a non parlare da soli

A chi non è capitato camminando sul marciapiede di incrociare un profugo africano che parla da solo? Fa una certa impressione quel tono rabbioso, l'alta voce, l'autentica disperazione che traspare dallo sguardo fisso nel vuoto.
  Mi sono chiesto il motivo e mi sono dato una risposta semplice e cioè che arrivando qui, convinto di trovare una vita tutta nuova, facile facile una volta capito che da noi non è il paradiso, la rivelazione che tutto il danaro speso, le torture subite, la fame e la sete, il dolore fisico e l'insonnia, la paura ed il terrore della traversata e le grandi delusioni dopo la breve parentesi del salvataggio e dell'accoglienza tutto sommato promettente sono state invano, qualcosa incomincia a girare vorticosamente.
  Una spiegazione tranquillizzante come questa però è fasulla. Non metto infatti in conto anche la sua vita prima della partenza, la fame, i soprusi, la distruzione dell'ambiente sconvolto dalla nostra irresponsabilità occidentale, la sfacciata corruzione, l'ingiustizia praticata da chi dovrebbe tutelare i più deboli, la mano libera concessa a bande di mascalzoni, vere e proprie organizzazioni criminali legate al potere politico esercitato senza remore e moralità.
  Queste cose esistono pure da noi, ma noi forse non le vediamo in modo così diretto e brutale come le vedono e soprattutto vivono loro.
  È dunque facile avere paura di uno che cammina per strada sbraitando al cielo e sentire fastidio per il ragazzo che ti chiede ogni giorno una monetina davanti al supermercato o pensare che se dei profughi stanno in un gruppo a parlare tra di loro stanno solo organizzando qualche crimine.
È facile, sino a quando non ti capita di vedere da vicino come stanno veramente le cose. A me è capitato di assistere come interprete una coppia composta da una ragazza tedesca, dunque cittadina comunitaria, ed un ragazzo pakistano. Basta parlarci pochi minuti, e si capisce subito che si tratta di persone tranquille, che stanno in Italia non per darci fastidio o farci dispetto, ma due persone che insieme fuggono davanti a qualcosa e sperano di trovare tra di noi aiuto e rifugio e lavoro, che sono disposti a cercare un futuro lontano dalle proprie case e comunità di origine. Una scelta che non è facile, che nessuno farebbe se non avesse problemi veri e pesanti alle spalle, una scelta per la quale ci vuole coraggio.
  La coppia si era conosciuta in Germania, dove il ragazzo era arrivato in fuga dal proprio paese sperando di vedersi riconosciuto il diritto d'asilo. La domanda gli fu respinta, perché non fuggiva per motivi politici. Questo però non vuole affatto dire che sia un "profugo economico", come alcuni dicono con scherno, volendo sottintendere che non si voleva accontentare di quanto il suo paese poteva offrigli.
  La storia è ben diversa, e temo anche per niente infrequente. Suo padre era afflitto da una grave malattia e per pagare una necessaria operazione si è venduto la propria casa. Quei soldi non gli sono bastati e presto non sapeva più come pagare vari debiti. Alcuni creditori con modi violenti e criminali, gente senza scrupoli che prima si mostra sorridente e caritatevole e poi si toglie la maschera e mette in luce tutta la propria malvagità e crudeltà nel pretendere capitale ed interessi. Insomma, lui ed il fratello sono dovuti fuggire. Non decisero subito di venire in Europa, ma si trasferirono in un'altra regione del Pakistan. Ma anche qui gli aguzzini li raggiunsero e decisero di andarsene per salvare la pelle; il fratello è andato in Inghilterra e Muhammad in Germania. Nel periodo passato ad attendere il responso tirò avanti con lavoretti occasionali nella ristorazione e conobbe Marina, una ragazza tedesca, che come lui in Germania aveva motivi per non sentirsi a proprio agio.
  Rifiutata la richiesta di asilo dalle autorità tedesche Muhammad tentò la via dell'Italia e venne in avanscoperta. Anche in Italia riuscì a tirare avanti con lavori saltuari nella ristorazione, girando in lungo e largo la penisola da Bologna a Brindisi, fino a trovare a Melito di Napoli alcuni connazionali tramite i quali si è aperta una prospettiva di lavoro seria, sempre nella ristorazione. Muhammad padroneggia la cucina pakistana e si è innamorato della cucina campana e sogna di aprire un ristorante nel quale offrire questa insolita accoppiata indico-partenopea.
  C'era solo da superare l'ostacolo del permesso di soggiorno… La cosa all'inizio sembrava semplice. Aveva già comunque intenzione di sposarsi con Marina, dopo che in Germania avevano convissuto qualche anno. Il fatto che lei fosse cittadina dell'Unione Europea poteva facilitare le cose e dunque raggiunse Muhammad a Melito e ottenne automaticamente la residenza. A Melito hanno cominciato insieme tutta la trafila burocratica per il matrimonio; un po' complessa, ma tutto sommato tranquilla nonostante tutti i certificati, documenti ed iter che si devono percorrere. Ma c'è un ma. Marina parla solamente il tedesco e Muhammad, oltre alla sua madrelingua un po' di inglese scolastico ed un tedesco non ancora fluente: serviva un interprete ed è il momento in cui divento testimone diretto di questa storia.
  Io vengo chiamato, dopo che già era stato chiamato un traduttore, un avvocato napoletano del quale pubblicherò dopo alcune verifiche nome e cognome, il quale, oltre a non sapere affatto il tedesco, pare abbia fatto finta di aiutare a fare le pratiche matrimoniali pretendendo e facendosi poi dare una somma astronomica per le effettive possibilità dei due ragazzi. Hanno almeno avuto la fortuna di trovare al Comune di Melito un Ufficiale dello Stato Civile bravo e corretto, il quale li ha aiutati quanto e come ha potuto. Fatto sta che si sono intanto sposati, anche se senza tanti fronzoli, dato che proprio in quel giorno erano in corso dei lavori nell'aula consiliare e la cerimonia si è svolta al disotto del limite minimo di solennità. Erano comunque emozionati lo stesso, tanto che si sono scordati di scambiare le fedi al momento del Matrimonio.
Marina e Muhammad il giorno del matrimonio
  Sembrava oramai una via facile da percorrere: con la cosiddetta "coesione familiare" a norma di legge, essendo come abbiamo visto la moglie cittadina comunitaria, al marito il soggiorno spetta di diritto. Questa mattina dunque siamo andati insieme all'Ufficio Immigrazione della Questura in Via Galileo Ferraris e prima di arrivare sembrava ancora tutto facile. All'ingresso si deve fare tappa ad uno sportello, dietro al quale si trovava una signora molto indaffarata, la quale elargiva consigli e dettava direttive tra una telefonata di servizio e l'altra. Io sapevo che c'era bisogno di prendere un appuntamento per consegnare la documentazione richiesta. In teoria era anche così, ma per prima cosa mi sono visto allungare un bollettino di conto corrente postale con già segnate sopra 80,46 euro, con l'assicurazione che una volta pagato lo stesso Ufficio Postale avrebbe fissato l'appuntamento presso l'Ufficio Immigrazione. Ora dico io: "Vi pare normale?" La Questura è un Ufficio Governativo, un ufficio pubblico. La ditta "Poste Italiane S.p.a." è una società che come ci indicano le tre lettere puntate finali non può essere un ente pubblico, ma un organismo economico/finanziario sottostante anche ad interessi privati. Pare che ci sia una qualche convenzione tra non ho capito se Governo, Prefettura o Questura con questo ente di diritto privato il quale guadagna senza alcun motivo per me plausibile su di una parte del servizio che dovrebbe dare la Questura. Spero che prima o poi qualcuno sia in grado di spiegarmelo; fino ad allora vedo solo un vergognoso inciucio.
  Siamo andati allora come indicatoci alla Posta, ufficio in Piazza Garibaldi, presso il quale però non c'era lo "Sportello Amico", quello cioè abilitato ad incassare gli 80,46 euro, consegnare una busta piena di moduli da riempire dopo l'attenta lettura di una sfilza di norme di legge, pagare ulteriori 30,00 euro per spedire tutto il plico alla Questura. Ci siamo dunque fatti un'altra passeggiata per raggiungere questo benedetto sportello abilitato in un altro Ufficio. Ho chiesto chiarimenti, ma per gentili che fossero gli impiegati non sapevano nulla oltre al fatto di dover dire che era così e basta e consigliare di andare ad un CAAF per l'istruzione della pratica.
  A quel punto ho pensato bene di leggere le norme di legge gentilmente accluse al mastodontico modulo da compilare ed ho trovato, ormai mezzo cecato, la seguente frase: "Allo straniero che effettua la coesione familiare con cittadino italiano o di uno Stato membro dell’U.E. (…) è rilasciata la carta di soggiorno". Detta questa cosa a Muhammad, mi ha confermato che un suo paesano, trovatosi più o meno nella stessa situazione, aveva ottenuto il soggiorno senza pagare gli 80,46 euro più i 30,00 per le Poste. A proposito! Non so esattamente quanti sono i cittadini extracomunitari che nell'anno passato hanno ottenuto il permesso di soggiorno seguendo l'iter a norma di legge, ma posso dire che la ditta "Poste Italiane S.p.a." ogni 100.000 domande di permesso di soggiorno ha imbertato 3.000.000,00 (tremilioni) di euro sonanti. Se un richiedente il permesso di soggiorno consegnasse personalmente a mano il "kit"  questo regalo alla ditta "Poste Italiane S.p.a." si potrebbe tranquillamente risparmiare. Certo immagino che qualche sapientone colle buone o le cattive ora mi vorrà spiegare che ci sono motivi tecnici legati alla digitalizzazione o "dematerializzazione", che secondo me è un neologismo per mascherare pratiche illegali; ma questo è il tema di un altro post.
Dunque, riprendendo il filo, ho consigliato di non pagare subito e ci siamo fatti un altro paio di chilometrucci a piedi per andare al CAAF della CGIL, dove un funzionario che mi ha ispirato fiducia in modo tecnico ed assai preciso mi ha comunicato che in effetti, come già avevo intuito dalla lettura del succitato articolo di legge, non c'era da pagare gli 80,46 euro ed ancor meno i trenta per la ditta "Poste Italiane S.p.a.", dato che nel caso della coesione familiare la pratica era cartacea e l'appuntamento per la consegna dei vari documenti necessari andava dato direttamente dall'Ufficio Stranieri. Dunque altra scarpinata per tornare al punto di partenza: l'Ufficio stranieri della Questura per prendere l'appuntamento.
  Nel bussolotto ora c'era un signore, in borghese come la signora di prima, il quale non telefonava, ma alla mia richiesta di appuntamento mi ha subito sparato che dovevo andare prima alle Poste. Convinto come ero che nel caso in questione questo non fosse necessario, non dico che ha cominciato ad abbaiare, ma diciamo che con tono imperioso mi ha detto una frase del tipo "Ma con chi si crede di stare a parlare!" e poi ha fatto un gesto che in vita mia non avevo mai visto fare a nessun poliziotto italiano ma che conoscevo da qualche telefilm per deficienti poliziesco americano: ha tirato fuori dal collo della camicia una specie di scudetto-medaglione (i tedeschi lo chiamano scherzosamente "Hundemarke" e gli americani"Dog Tag") facendomelo vedere per una frazione di secondo. Alla mia cortese insistenza ha richiesto con tono un tantino arrogante "Lei che lavoro fà". Sulla lingua avevo pronto un bel "Fatte li cazzi tua", ma sono riuscito ancora in tempo a dire "L'interprete, come può vedere". Continuava a ripetere che valeva solo quello diceva lui e che tutti gli altri non capivano niente (non mi ricordo la parola esatta da lui usata); una cosa simile mi aveva anche accennato il consulente dal CAAF, ma penso che forse si riferisse agli impiegati della ditta "Poste Italiane S.p.a.". Gli ho dunque tirato fuori la frase di prima leggendola ad alta voce. Rileggendo anche lui quel brano che in teoria doveva conoscere a memoria ha avuto l'animo e lo spirito di dirmi candidamente: "Prima facevamo così, ma era sbagliato". Percepito un momento di sua debolezza, gli ho buttato lì: "Sa, io faccio anche il giornalista, e prima di prendere per certa una cosa studio a fondo quanto possibile." Ora non so se era la mia affermazione o la parola "giornalista", ma si era evidentemente calmato un pochino e ci siamo salutati. Mi sono preso i moduli e li compilerò nel corso del fine settimana e ci ripresenteremo all'Ufficio Stranieri con le idee chiare e taglienti come una Katana.
 
Ora chi fosse arrivato a leggere fino a questo punto deve solamente immaginare un richiedente che senza potersi permettere un interprete entra in un girone di questo genere. Dopo un po' è normale che vai in giro parlando solo. Anche io tornando a casa mi ripetevo sottovoce "Questa storia la scrivo!".