lunedì 5 dicembre 2016

Accettiamo le scuse del Sud

Fino all'ultimo mi sono dovuto sentir dire che gli italiani non sono capaci di reagire, figuriamoci di rivoltare contro una palese porcheria come quella della "schiforma". Non facevo a tempo ad accennare che però la Resistenza… già venivo interrotto con frasi del genere: …si, vabbe', ma quello era un momento particolare, c'era la guerra, c'era la fame, gli Italiani sono troppo vigliacchi.
  A me continuava a sembrare strano che fosse pensabile un appecoronamento così massiccio, soffocante ed inevitabile. L'Italia è una pianta potata male, ma le radici non le puoi modificare a piacere. Anche se tagli tutto, da qualche parte la radice ricaccia fuori vigorosi virgulti.
  Insomma, in qualche modo me lo sentivo che il risultato sarebbe stato straordinario ed a favore del NO, alla faccia dei peggiori pessimisti.
  Mi erano passati per la testa vari episodi che mi davano speranza e certezza. Ve li racconto per come li conosco.

Cefalonia

  Il Dramma di Cefalonia mi è noto dai libri e dalla televisione. In particolare ricordo un documentario televisivo, ancora in bianco e nero, nel quale un sopravvissuto raccontava sul luogo cosa accadde in quei drammatici momenti. L'episodio che mi si scolpì nella memoria fu questo: il Generale comandante italiano andò al comando tedesco per trattare. Come i suoi uomini sapeva benissimo che resistere avrebbe significato morire, dato che le munizioni a disposizione erano troppo poche ed i tedeschi violenti e crudeli.
  Il comando tedesco pretese l'immediata consegna delle armi. Il generale italiano chiese di potersi consultare attraverso una linea telefonica da campo con i propri ufficiali dall'altra parte dell'isola. Quando gli fu concesso ordinò ai suoi ufficiali di aprire il fuoco sui tedeschi e difendersi come potevano. L'ufficiale all'altro capo del filo rispose: "Comandante!, è già un quarto d'ora che stiamo sparando!" In cinquemila caddero combattendo o furono fucilati una volta finite le munizioni. Solo trecento riuscirono a scampare al massacro e si unirono in seguito alla Resistenza greca, nelle cui fila si fecero onore.

Albania

  In tutti i Balcani singoli soldati italiani, gruppi spontanei piccoli e grandi ed intere armate riuscirono a sottrarsi alla prigionia tedesca ed a combattere per la propria libertà e la liberazione dei popoli che li ospitavano. C'è anche qui un episodio dalla grande forza simbolica.
  Sfogliando l'Almanacco del PCI del 1974, incappai nell'inserto speciale dedicato al Trentennale della Resistenza, del quale mi si stampò in testa una immagine bizzarra: un capitano degli Alpini al galoppo su di un mulo, con la sua spada sguainata tenuta il alto, entra in Piazza Scanderbeg a Tirana: è il primo combattente della Resistenza albanese ad entrare nella città appena liberata dall'occupazione tedesca, un membro della Brigata Gramsci, composta quasi interamente da soldati ed ufficiali italiani, forte di 2.000 uomini. La storia a volte è strana, perché gli stessi che pochi anni prima erano stati mandati dal governo fascista ad occuparla, alla fine la liberano.
Ufficiali italiani dell'Esercito di Liberazione Albanese
  La vastità della partecipazione italiana alla liberazione dei Balcani ed in particolare della Yugoslavia per molti anni era non perfettamente nota neanche all'ANPI. La cosa me la spiegò una volta personalmente il Generale Nino Pasti, allora presidente nazionale dell'Associazione dei Partigiani italiani. Alla morte di Tito andò in Yugoslavia una nutrita delegazione di partigiani italiani che lì avevano combattuto, con tutti i labari e medaglieri dei corpi registrati ufficialmente nello schedario dell'ANPI. Quando arrivarono nella grande spianata dove si doveva tenere la commemorazione, videro che dalla enorme folla spuntavano numerose bandiere italiane. Non si capiva cosa potesse essere, dato che c'era un'unica delegazione ufficiale italiana. Il Generale Pasti si fece un giro ed attorno ad ogni bandiera italiana trovò gruppi, a volte anche nutriti, di italiani. Dopo essersi presentato veniva così a conoscere tanti gruppi di soldati che avevano combattuto nella Resistenza jugoslava ma che dopo la guerra non avevano chiesto riconoscimenti o altro. Alla domanda perché non si fossero presentati dissero che a loro bastava aver fatto il proprio dovere.

Napoli

  Non mi stupisce affatto che i napoletani si siano massicciamente espressi in difesa della Costituzione. Molti magari lo hanno anche fatto inconsapevolmente, ma il loro istinto offrì all'Italia appena occupata "dal tedesco invasor" un esempio straordinario, veramente incredibile, che si pone all'inizio della guerra di Liberazione Italiana. Praticamente buttarono fuori dalla città, a mani nude, l'esercito tedesco. Avevano dimostrato che un popolo, se unito, vince anche contro quello che allora molti credevano fosse l'esercito più potente del mondo. Le quattro giornate di Napoli furono per gli alti comandi della Wehrmacht un vero e proprio pesante segnale d'allarme, basta vedere quello che resta dei documenti tedeschi di quel periodo. Una cosa così grande resta comunque nella memoria storica di una città ed il fatto che un popolo non necessariamente abbia bisogno di un esercito regolare per liberarsi fece un po' scuola negli anni a venire.

25 luglio

Folla esultante a Roma dopo le dimissioni del Puzzone
  Negli archivi dei servizi segreti a Praga si conserva una relazione sugli avvenimenti del 25 luglio 1943 inviata al comando della Gestapo da Gerhard Rohlfs. Questo era un ancora oggi famoso professore di linguistica, specializzato il dialetti italiani e gruppi linguistici minoritari. Tanto amava i dialetti italiani, tanto, se non di più odiava gli italiani. Pieno di livore dice che aveva già da tempo messo in guardia rispetto agli italiani, una massa di incapaci e rammolliti e bla bla bla giù tutto l'armamentario del bravo razzista crucco. Descrive nella sua relazione due scene: Prima di tutto era partito poco prima del 25 luglio per Monaco, ed all'andata tutte le stazioni ferroviarie erano addobbate con slogan fascisti e sui muri splendevano candidi cartigli con le immarcescibili frasi storiche del duce. Al suo ritorno in Italia poco tempo dopo, dal Brennero fino a Roma credere, obbedire e combattere! non si vedevano più e tutte le roboanti parole del duce erano state accuratamente coperte con la calce. A Roma un amico poi gli raccontò che la Via Nazionale subito dopo l'annuncio delle dimissioni del puzzone si ricoprì nel giro di pochi minuti di ritratti di Mussolini, calendari della milizia e dell'OND, divise, berretti, diplomi, distintivi, medaglie ed ogni altro ciarpame di regime, lasciando alla Nettezza Urbana il compito di spazzare via venti anni di fascismo.

Allora ed oggi

  Fatti grandi come la nostra Resistenza lasciano comunque una traccia profonda nella memoria collettiva; nessuna propaganda, nessuna televisione, per stupida, volgare e falsa che possa essere, certi tratti profondamente stratificati non li può cancellare nel giro di un paio di generazioni. La nostra lotta antifascista e poi la Resistenza culminarono nella Costituzione, e questo lo sanno anche i bambini ipnotizzati dall'ipod.
I risultati del Referendum del 1946 in un documento della DOXA
Anzi, da allora ad oggi siamo anche cresciuti. Il referendum istituzionale del 1946 ebbe un esito risicato. Oggi la nostra Costituzione Repubblicana è stata confermata da tutto il popolo in modo chiaro, netto, ed anche un po`assordante. Addirittura il Sud e le Isole si sono trovate avanti con il NO, quasi a voler chiedere scusa di aver mancato l'appuntamento del '46. Scuse accettate. Grazie.

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