Un articolo del 1948 di Giorgio Amendola tutto la rileggere, perché ci aiuta meglio a capire cosa successe veramente 71 anni fa e quanto sia importante non dimenticare! 
(articolo pubblicato in: Rinascita - n. 8 - 1948) 
Il governo democristiano e le forze politiche che lo 
sostengono hanno da tempo iniziato contro il nostro Partito una campagna
 di calunnie e di menzogne, accusandolo di tramare oscuri complotti 
contro la legalità repubblicana e di preparare l'attuazione di piani 
segreti per scatenare nel paese un movimento insurrezionale.
 
La maggior parte del popolo italiano ha vissuto 
recentemente, dal 1943 al 1945, da Napoli a Torino, una grande e tragica
 esperienza insurrezionale, dalla quale esso ha direttamente imparato 
che l'insurrezione non e un giuoco di pochi cospiratori; l'insurrezione 
per noi è cosa molto seria, è mobilitazione e lotta di milioni e milioni
 di cittadini, è anzitutto un grande movimento politico di masse che 
trascina la maggioranza dei lavoratori in una lotta alle sorti della 
quale è affidato l'avvenire del paese.
 
Tutti i venti mesi della resistenza furono 
caratterizzati da una vivacissima lotta politica, che si svolse in seno 
ai C.L.N. e, in primo tempo, tra i C.L.N. e le forze organizzate attorno
 al governo Badoglio, per la direzione politica del movimento di 
liberazione e per la sua piattaforma politica.
 
Il governo Badoglio, fuggito da Roma il 9 
settembre, responsabile del crollo dell'esercito italiano, non poteva 
dirigere la guerra di liberazione. Una nuova direzione politica, 
espressione delle forze popolari che avevano scelto da sole nella 
generale decomposizione del vecchio stato italiano la via della lotta, 
doveva guidare il movimento popolare. Sorsero i C.L.N., il C.L.N. 
Centrale a Roma, il C.L.N. alta Italia, i C.L.N. Regionali, provinciali,
 periferici, tutta una nuova organizzazione politica che aderiva 
concretamente alle esigenze della lotta e che permetteva la più larga 
mobilitazione delle masse popolari. La lotta tra la vecchia direzione 
politica, espressa nel governo Badoglio, e la nuova direzione dei C.L.N.
 caratterizzò tutto il primo periodo della resistenza; e minacciò, col 
dualismo di organi direttivi che si verificò nel territorio occupato, di
 paralizzare lo sviluppo dell'azione, finché, per l'iniziativa del 
compagno Togliatti, formato il primo governo di Unità Nazionale, la 
direzione unitaria di tutto il movimento fu realizzata con l'affidare ai
 C.L.N. nei territori occupati la rappresentanza del governo centrale e 
l'esercizio della funzione di governo fino all'arrivo delle forze 
alleate. Ma la lotta politica tra le forze conseguentemente 
democratiche, e quelle conservatrici, continuò vivace in seno ai C.L.N.,
 dove liberali e democristiani assolsero quasi sempre ad una funzione di
 freno. Infatti le forze politicamente e socialmente conservatrici, fin 
dal momento del crollo del regime fascista, non si sono limitate ad 
agire dal di fuori del nuovo sistema politico di forze democratiche e 
popolari, fronteggiandolo, e combattendolo, ma hanno sempre combinato 
assai abilmente questa opposizione esterna con l'azione in seno a questo
 nuovo sistema, per minarne l'unità, indebolire la saldezza; e 
rallentarne e ostacolarne i movimenti. È stata questa la funzione dei 
liberali e dei democristiani in seno ai C.L.N., aiutati in questa opera 
da quei «socialisti» e azionisti che hanno poi dimostrato il loro 
asservimento agli interessi di quelle forze che si proponevano, malgrado
 la caduta del regime fascista, di mantenere in piedi la vecchia 
struttura reazionaria della società italiana.
 
La questione centrale attorno alla quale si 
svilupparono tutte le polemiche e si determinarono i principali dissensi
 politici fu quella dell'attesismo, affrontata apertamente nelle prime 
settimane, ma poi ripresa quasi ininterrottamente, ora sotto un aspetto 
ora sotto un altro, fino agli ultimi giorni, fino agli ultimi tentativi 
di trascinare il movimento nazionale sulla via della capitolazione e del
 compromesso col nemico.
 
Gli attesisti proclamavano l'inutilità della 
lotta, la necessità di restare tranquilli fino all'arrivo degli alleati,
 l'opportunità di limitare l'opera della Resistenza a una attività di 
assistenza agli sbandati e di informazioni agli alleati. La questione, 
che assumeva a volte un aspetto di tecnica militare, era in realtà 
schiettamente politica, e investiva direttamente il carattere e la base 
politica del movimento di liberazione. Infatti gli attendisti temevano 
la mobilitazione del popolo, necessaria per condurre avanti seriamente 
la guerra di liberazione, temevano che il popolo risvegliato da questa 
partecipazione alla grande lotta liberatrice potesse all'indomani della 
liberazione imporre la sua volontà di rinnovamento politico e sociale 
del paese. Essi si opponevano perciò allo sviluppo delle azioni di 
guerra contro i nazi-fascisti. Ora, non soltanto vi era un problema 
nazionale -assicurare che la liberazione dell'Italia avvenisse col 
concorso degli italiani, per cui l'Italia potesse risorgere al suo posto
 di grande Nazione riscattata dal valore e dal sacrificio dei suoi figli
 migliori- che dettava l'obbligo di sviluppare una lotta a fondo senza 
quartiere. Non soltanto vi era la necessità di affrettare l'ora della 
liberazione e di abbreviare la durata delle sofferenze, colpendo il 
nemico ovunque si trovasse, rendendogli la vita impossibile, 
immobilizzando ingenti sue forze sul fronte interno, seminando nelle sue
 file il panico ed affrettandone la resa. Non soltanto bisognava 
impedire al nemico di portare a compimento i suoi piani di distruzione e
 bisognava salvare il salvabile dell'apparato industriale, già tanto 
logorato dai bombardamenti aerei, per assicurare per l'indomani della 
Liberazione il massimo di occupazione e di pane ai lavoratori italiani. 
Ma la necessità dell'azione, della lotta senza quartiere, nasceva 
altresì dal bisogno di difendersi dalle prepotenze nazi-fasciste, di 
impedire le deportazioni in Germania e gli arruolamenti forzati nelle 
formazioni fasciste, di opporsi alle razzie di uomini, di viveri, di 
bestiame, di cose, di mantenere uniti e organizzati gli sbandati della 
prima ora, trasformandoli in combattenti. Un grande industriale, che si 
arricchiva nel traffico con i tedeschi, poteva comodamente, praticando 
con sicurezza il doppio giuoco, aspettare l'arrivo degli alleati. Ma gli
 operai e i soldati ritiratisi sui monti potevano cercare una 
possibilità di salvezza anche individuale, soltanto organizzandosi in 
formazioni disciplinate e combattendo duramente per difendere con le 
armi strappate ai nemici la vita e la libertà. E fu quello che avvenne. 
La creazione delle Brigate Garibaldi indicò la via a tutte le forze 
della Resistenza. Le forze conseguentemente democratiche, gli operai, i 
soldati, i lavoratori più coscienti, il nostro partito, marciarono sulla
 via della lotta e impressero, di fatto, a tutto il movimento la loro 
concreta direzione.
 
Ma gli attendisti non si diedero per vinti e 
cercarono in ogni modo di frenare lo sviluppo e l'estensione della 
lotta, di ostacolare, in particolare, la mobilitazione delle più larghe 
masse popolari. Uno dei motivi più frequentemente avanzati dagli 
attendisti per ostacolare lo sviluppo della lotta era l'asserita 
opportunità di non esporre la popolazione civile alle rappresaglie del 
nemico. In realtà, dal momento che si era iniziata la guerra partigiana,
 il problema era stato già risolto nell'unico modo possibile, 
compatibile con l'osservanza del nostro dovere nazionale, cioè nel 
rifiuto di sottostare al vigliacco e barbaro ricatto degli invasori 
tedeschi e dei traditori fascisti. Cedere al ricatto voleva dire 
arrestare completamente l'attività partigiana, rinunziare alla lotta, 
consegnare le armi, capitolare di fronte al nemico. Né potevano valere 
le considerazioni spesso avanzate dagli attendisti, che miravano a 
attenuare l'intensità della lotta, a escludere certi mezzi di offesa, a 
evitare che determinate azioni venissero compiute entro le città. Non 
era problema di mezze misure. La rappresaglia tedesca si abbatteva cieca
 ed indiscriminata, né mai era possibile prevederne la direzione e la 
portata. Se vigliaccamente colpiva con la fucilazione dei 320 martiri 
delle Fosse Ardeatine i patrioti romani dopo l'azione di guerra compiuta
 dai GAP a Via Rasella, essa si mostrava feroce anche fuori della città,
 nelle montagne e nelle campagne, arrivando per il taglio dei fili 
telefonici e per il semplice rifornimento dei viveri ai partigiani a 
incendiare intieri villaggi e a massacrare la popolazione, uomini e 
donne, vecchie e bambini, come tragicamente ci ricordano le 2000 vittime
 di Marzabotto. No, le rappresaglie non si evitavano attenuando la 
lotta, a meno di non rinunciarvi completamente e di tradire così il 
proprio dovere. Le rappresaglie si combattevano al contrario 
intensificando la lotta, reagendo colpo su colpo, provocando nelle file 
nemiche perdite sempre più grandi, e facendo molti prigionieri. Quando 
le nostre unità garibaldine hanno incominciato a fare dei prigionieri, 
allora il nemico, sordo a ogni considerazione umana, ma sensibile al 
linguaggio della forza, scese a patti e cercò di cambiare gli ostaggi 
contro i prigionieri.
 
Questa era l'unica via, via dura e sanguinosa, la
 via del combattimento a oltranza, quella segnata dalle gesta dei 
partigiani dell'U.R.S.S. e delle altre nazioni europee, la via del resto
 che ci era indicata dagli stessi appelli dei comandi alleati e dai 
proclami del governo italiano.
 
Contro la minaccia che le rappresaglie 
costituivano per tutti i cittadini italiani, non restava che un mezzo di
 difesa; l'unione di tutti gli italiani contro queste iene arrabbiate, 
l'unione nella lotta comune, nel sempre maggiore allargamento del Fronte
 della Resistenza. Ogni uomo, ogni donna, ogni ragazzo diventava un 
combattente della libertà.
 
Naturalmente gli attendisti si opponevano a 
questo allargamento del fronte della Resistenza, che poneva il problema 
di una mobilitazione e di una organizzazione permanente delle masse 
popolari. Tutta la polemica sui C.L.N. periferici svelava la 
preoccupazione retriva che le masse lavoratrici potessero acquistare, 
attraverso ad una attiva partecipazione a questi organismi popolari di 
auto-governo, una nuova esperienza politica, schiettamente democratica.
 
Su tutti questi problemi, i fatti decisero di 
ogni controversia. La pariteticità dei C.L.N., così strenuamente difesa 
da liberali e democristiani, non reggeva di fatto di fronte alla 
capacità creativa delle masse in lotta ed al potente impulso che esse 
imprimevano allo sviluppo della situazione politica. Le tesi che noi 
comunisti avevamo per primi sostenute trionfarono di ogni resistenza 
perché esse interpretavano le necessità più sentite del movimento di 
liberazione, e perché esse erano suffragate dall'immediata esperienza 
della lotta. Così le forze di avanguardia della classe operaia 
impressero a tutto il movimento, concretamente, la loro direzione 
politica e l'avviarono, malgrado tutte le resistenze, verso la 
necessaria conclusione: l'insurrezione.
 
L'insurrezione di Napoli aveva già chiaramente 
indicato che «la guerra partigiana avrebbe dovuto avere la sua 
conclusione e il suo sblocco logico in una insurrezione generale armata 
che precedesse l'arrivo degli alleati, si svolgesse in concomitanza di 
una offensiva decisiva e sbaragliasse il fronte della ritirata nemica. 
Dopo Napoli la parola d'ordine dell'insurrezione finale acquistò un 
senso e un valore, e fu allora la direttiva di marcia per la parte più 
audace della resistenza italiana», (LONGO, Un Popolo alla macchia, pag. 
102).
 
Ma come bisognava concepire e preparare questa 
insurrezione? Alcuni, e erano di fatto sempre gli stessi sostenitori 
dell'attendismo, la vedevano e la presentavano come un'azione lontana, 
da scatenare a una misteriosa ora X. Intanto, nell'attesa di questa ora 
fatale, bisognava non muoversi, «non scoprire le forze», dicevano, 
preparare bene i piani, ecc. Naturalmente, per questa via, se pure 
questa ora X avesse dovuto mai scoccare, null'altro sarebbe stato 
pronto, se non i piani elaborati a tavolino. L'idea dell'insurrezione, 
sostenevamo noi comunisti, doveva invece significare «rafforzamento 
permanente, coronamento e sbocco di tutta la lotta di liberazione», «non
 semplice parola d'ordine, ma un compito concreto e immediato di 
preparazione politica e di mobilitazione. Si doveva perciò continuare, 
allargare, generalizzare la lotta di liberazione nazionale già iniziata:
 quella armata, partigiana in primo luogo, ma anche la resistenza di 
massa alle ingiunzioni fasciste e il movimento rivendicativo delle masse
 lavoratrici contro i propri oppressori o sfruttatori» (LONGO, Un Popolo
 alla Macchia, pag. 131).
 
E, nello schema del rapporto politico presentato 
alla Conferenza dei Triumvirati Insurrezionali del Partito comunista 
italiano, pubblicato nel numero 19-20, 25 Novembre 1944, di «La nostra 
Lotta», si affermava in esplicita polemica con le posizioni degli 
attendisti:
 
«l'insurrezione nazionale per cui noi ci 
battiamo e che vogliamo potenziare sempre di più non è una misteriosa 
preparazione per «il momento buono» per una apocalittica ora X, ma è la 
guerriglia di ogni giorno che deve colpire permanentemente e con tutte 
le armi il nemico, ovunque si trovi, guerriglia che dobbiamo 
intensificare e estendere sempre di più, fino a liberare completamente e
 definitivamente porzioni sempre più grandi del territorio nazionale ».
 
Durante tutto il 1944, man mano che il movimento 
partigiano si veniva rafforzando e estendendo si allargava pure in tutto
 il territorio occupato la lotta delle masse lavoratrici. Non si può 
comprendere lo sviluppo del movimento partigiano e la sua capacità di 
resistenza e di attacco davanti alle preponderanti forze nemiche, se lo 
si isola dall'insieme dei grandiosi movimenti di lotta delle masse 
popolari italiane che durante tutti i venti mesi non si stancarono di 
opporsi all'invasore, di attaccarlo in continuazione con una serie di 
lotte rivendicative, economiche, politiche, di strappargli delle 
concessioni, di imporgli in ogni momento la prepotente iniziativa 
popolare. Fu prima la classe operaia a sviluppare l'attacco. Dalla fine 
del 1943 al grande sciopero generale del marzo 1944 fu un seguirsi di 
agitazioni, di fermate di lavoro, di scioperi, che ridussero 
sostanzialmente la produzione, dimostrarono l'impotenza dei barbari 
occupanti, incoraggiarono i partigiani e diedero l'esempio della 
resistenza a tutti i lavoratori italiani. Dietro questo esempio altre 
categorie di lavoratori scesero in lotta. Nell'estate del 1944 furono i 
contadini che si rifiutarono prima di trebbiare il grano e poi, visto 
che gli alleati non arrivavano, lo trebbiarono sotto la protezione delle
 SAP, non lo portarono agli ammassi ma lo nascosero e lo consegnarono ai
 C.L.N. Furono i contadini a organizzare la difesa armata dei prodotti 
della terra, a impedire le razzie di bestiame. Furono le donne che 
manifestarono apertamente davanti ai municipi per richiedere pane per i 
loro figlioli, l'aumento delle razioni alimentari, la concessione e 
l'aumento dei sussidi per le famiglie dei caduti e dei prigionieri.
 
Così veniva attuata la direttiva contenuta nel 
messaggio inviato ai comunisti della zona occupata dal compagno 
Togliatti, subito dopo il suo arrivo a Napoli.
 
«L'insurrezione nazionale non deve essere opera 
solo di un'avanguardia ma di tutto il popolo. Non è mai ammissibile che 
esista una situazione in cui solo i piccoli gruppi sono attivi e grandi 
masse aspettano senza intervenire nella lotta. Combinate insieme i colpi
 dei piccoli gruppi e le azioni militari più vaste con movimenti e 
azioni di grandi masse, allo scopo di arrivare all'insurrezione 
nazionale».
 
E nel rapporto politico presentato alla riunione 
allargata della Direzione per l'Italia occupata del Partito comunista 
italiano (11-12 marzo '45) si poteva affermare che:
 
«già nei mesi scorsi l'insurrezione nazionale in 
marcia si è polarizzata da una parte nella lotta armata che ha assunto 
aspetti sempre più generali e un più deciso vigore e dall'altra nella 
lotta rivendicativa popolare che si è manifestata in scioperi, in 
manifestazioni di strada, in sabotaggi collettivi e individuali. Sono 
queste due forme di lotta, combinate e fuse in un tutto unico, che hanno
 scardinato lo Stato fascista, infranto i suoi piani, fatto fallire ogni
 sua iniziativa, scavato un abisso incolmabile tra nazi-fascismo e 
popolo italiano».
 
Alla guerriglia partigiana si accompagnava sempre
 più intensa durante l'ultimo inverno la guerriglia economica contro la 
fame, il freddo e il terrore nazi-fascista. Alle lotte operaie e 
contadine, si aggiungeva, nelle grandi città, la lotta delle donne, dei 
ragazzi e dei vecchi che assalivano treni e depositi di carbone, 
organizzavano il taglio di alberi nei boschi e nei parchi. Contro la 
guerriglia economica di massa i nazi-fascisti si rivelarono impotenti. I
 lavoratori e le loro donne avevano saputo adottare la tattica 
partigiana del colpo di mano, della sorpresa. Era tutto il popolo che si
 liberava, con un susseguirsi di scioperi, di manifestazioni di 
agitazioni, di atti di guerriglia, ininterrottamente, in mille punti del
 territorio, in modo da non lasciar tregua all'attaccante, di aggredirlo
 da tutte le parti, di minarne la capacità di resistenza.
 
In verità, come afferma un titolo de «L'Unità» del settembre 1944, L'insurrezione nazionale è in marcia,
 titolo che esprime efficacemente tutto lo sviluppo del processo 
insurrezionale e che diventa una parola d'ordine del Partito, a indicare
 che l'insurrezione è già in atto, e si realizza nel moltiplicarsi delle
 brigate e divisioni partigiane, nell'accrescersi della loro 
aggressività, nell'audacia dei GAP, nell'armamento di tutti i lavoratori
 inquadrati nelle SAP delle fabbriche dei rioni, dei villaggi nella 
liberazione di vaste zone di territorio, nell'affermarsi in queste zone 
di nuovi organi di potere popolare, nel portare la guerriglia nelle 
città e nelle campagne, nella lotta degli operai contro la produzione 
bellica per il nemico e contro il collaborazionismo degli industriali 
traditori, nello sviluppo del movimento popolare contro la fame il 
freddo e il terrore nazi-fascista, nella lotta contro i nemici e i 
sabotatori del movimento di liberazione nazionale, contro l'inganno e 
l'illusione delle pacifiche evacuazioni, contro ogni tendenza al 
compromesso e alla capitolazione. Nell'autunno del 1944, sei mesi prima 
dell'assalto finale, l'insurrezione nazionale era già la realtà di un 
popolo in armi.
 
E in questa lotta le masse popolari venivano 
organizzandosi. Nascevano i C.L.N. nelle fabbriche, nei rioni, nei 
grandi casamenti operai, negli uffici, nelle Università, persino nei 
Ministeri e nelle Prefetture. Un nuovo potere popolare nasceva nella 
lotta contro il vecchio potere nazi-fascista sempre più indebolito; un 
nuovo potere popolare la cui autorità era riconosciuta dal popolo, un 
nuovo potere che poggiava sulla forza armata del movimento partigiano e 
sul consenso delle masse lavoratrici.
 
Quando il mattino del 25 aprile i lavoratori 
armati scesero nelle strade per l'assalto finale, la vittoria era già 
sicura, malgrado l'enorme sproporzione dell'armamento che tuttora 
sussisteva. Non era una piccola avanguardia di combattenti isolati che 
attaccava, ma tutto un popolo che si rivoltava contro un governo 
logorato da venti mesi di guerriglia popolare, battuto e demoralizzato, 
condannato politicamente e moralmente dalla coscienza della nazione.
 
L'insurrezione dopo la lunga e eroica marcia 
arrivava vittoriosamente alla sua meta. I C.L.N. assumevano tutti i 
poteri, che dovevano poi, in base agli accordi internazionali, cedere ai
 comandi alleati.
 
Si è aperto con questa vittoria del popolo un 
nuovo periodo della storia italiana nel quale quegli ideali di libertà e
 di giustizia per i quali hanno combattuto e sono caduti i migliori 
figli del nostro popolo dovranno finalmente trionfare.
 
Nessuno potrà impedire che quelle sacrosante aspirazioni divengano finalmente la realtà della nuova Italia.
 
GIORGIO AMENDOLA 
 | 
lunedì 25 aprile 2016
L'insurrezione di aprile
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento