sabato 13 gennaio 2018

Provate voi a non parlare da soli

A chi non è capitato camminando sul marciapiede di incrociare un profugo africano che parla da solo? Fa una certa impressione quel tono rabbioso, l'alta voce, l'autentica disperazione che traspare dallo sguardo fisso nel vuoto.
  Mi sono chiesto il motivo e mi sono dato una risposta semplice e cioè che arrivando qui, convinto di trovare una vita tutta nuova, facile facile una volta capito che da noi non è il paradiso, la rivelazione che tutto il danaro speso, le torture subite, la fame e la sete, il dolore fisico e l'insonnia, la paura ed il terrore della traversata e le grandi delusioni dopo la breve parentesi del salvataggio e dell'accoglienza tutto sommato promettente sono state invano, qualcosa incomincia a girare vorticosamente.
  Una spiegazione tranquillizzante come questa però è fasulla. Non metto infatti in conto anche la sua vita prima della partenza, la fame, i soprusi, la distruzione dell'ambiente sconvolto dalla nostra irresponsabilità occidentale, la sfacciata corruzione, l'ingiustizia praticata da chi dovrebbe tutelare i più deboli, la mano libera concessa a bande di mascalzoni, vere e proprie organizzazioni criminali legate al potere politico esercitato senza remore e moralità.
  Queste cose esistono pure da noi, ma noi forse non le vediamo in modo così diretto e brutale come le vedono e soprattutto vivono loro.
  È dunque facile avere paura di uno che cammina per strada sbraitando al cielo e sentire fastidio per il ragazzo che ti chiede ogni giorno una monetina davanti al supermercato o pensare che se dei profughi stanno in un gruppo a parlare tra di loro stanno solo organizzando qualche crimine.
È facile, sino a quando non ti capita di vedere da vicino come stanno veramente le cose. A me è capitato di assistere come interprete una coppia composta da una ragazza tedesca, dunque cittadina comunitaria, ed un ragazzo pakistano. Basta parlarci pochi minuti, e si capisce subito che si tratta di persone tranquille, che stanno in Italia non per darci fastidio o farci dispetto, ma due persone che insieme fuggono davanti a qualcosa e sperano di trovare tra di noi aiuto e rifugio e lavoro, che sono disposti a cercare un futuro lontano dalle proprie case e comunità di origine. Una scelta che non è facile, che nessuno farebbe se non avesse problemi veri e pesanti alle spalle, una scelta per la quale ci vuole coraggio.
  La coppia si era conosciuta in Germania, dove il ragazzo era arrivato in fuga dal proprio paese sperando di vedersi riconosciuto il diritto d'asilo. La domanda gli fu respinta, perché non fuggiva per motivi politici. Questo però non vuole affatto dire che sia un "profugo economico", come alcuni dicono con scherno, volendo sottintendere che non si voleva accontentare di quanto il suo paese poteva offrigli.
  La storia è ben diversa, e temo anche per niente infrequente. Suo padre era afflitto da una grave malattia e per pagare una necessaria operazione si è venduto la propria casa. Quei soldi non gli sono bastati e presto non sapeva più come pagare vari debiti. Alcuni creditori con modi violenti e criminali, gente senza scrupoli che prima si mostra sorridente e caritatevole e poi si toglie la maschera e mette in luce tutta la propria malvagità e crudeltà nel pretendere capitale ed interessi. Insomma, lui ed il fratello sono dovuti fuggire. Non decisero subito di venire in Europa, ma si trasferirono in un'altra regione del Pakistan. Ma anche qui gli aguzzini li raggiunsero e decisero di andarsene per salvare la pelle; il fratello è andato in Inghilterra e Muhammad in Germania. Nel periodo passato ad attendere il responso tirò avanti con lavoretti occasionali nella ristorazione e conobbe Marina, una ragazza tedesca, che come lui in Germania aveva motivi per non sentirsi a proprio agio.
  Rifiutata la richiesta di asilo dalle autorità tedesche Muhammad tentò la via dell'Italia e venne in avanscoperta. Anche in Italia riuscì a tirare avanti con lavori saltuari nella ristorazione, girando in lungo e largo la penisola da Bologna a Brindisi, fino a trovare a Melito di Napoli alcuni connazionali tramite i quali si è aperta una prospettiva di lavoro seria, sempre nella ristorazione. Muhammad padroneggia la cucina pakistana e si è innamorato della cucina campana e sogna di aprire un ristorante nel quale offrire questa insolita accoppiata indico-partenopea.
  C'era solo da superare l'ostacolo del permesso di soggiorno… La cosa all'inizio sembrava semplice. Aveva già comunque intenzione di sposarsi con Marina, dopo che in Germania avevano convissuto qualche anno. Il fatto che lei fosse cittadina dell'Unione Europea poteva facilitare le cose e dunque raggiunse Muhammad a Melito e ottenne automaticamente la residenza. A Melito hanno cominciato insieme tutta la trafila burocratica per il matrimonio; un po' complessa, ma tutto sommato tranquilla nonostante tutti i certificati, documenti ed iter che si devono percorrere. Ma c'è un ma. Marina parla solamente il tedesco e Muhammad, oltre alla sua madrelingua un po' di inglese scolastico ed un tedesco non ancora fluente: serviva un interprete ed è il momento in cui divento testimone diretto di questa storia.
  Io vengo chiamato, dopo che già era stato chiamato un traduttore, un avvocato napoletano del quale pubblicherò dopo alcune verifiche nome e cognome, il quale, oltre a non sapere affatto il tedesco, pare abbia fatto finta di aiutare a fare le pratiche matrimoniali pretendendo e facendosi poi dare una somma astronomica per le effettive possibilità dei due ragazzi. Hanno almeno avuto la fortuna di trovare al Comune di Melito un Ufficiale dello Stato Civile bravo e corretto, il quale li ha aiutati quanto e come ha potuto. Fatto sta che si sono intanto sposati, anche se senza tanti fronzoli, dato che proprio in quel giorno erano in corso dei lavori nell'aula consiliare e la cerimonia si è svolta al disotto del limite minimo di solennità. Erano comunque emozionati lo stesso, tanto che si sono scordati di scambiare le fedi al momento del Matrimonio.
Marina e Muhammad il giorno del matrimonio
  Sembrava oramai una via facile da percorrere: con la cosiddetta "coesione familiare" a norma di legge, essendo come abbiamo visto la moglie cittadina comunitaria, al marito il soggiorno spetta di diritto. Questa mattina dunque siamo andati insieme all'Ufficio Immigrazione della Questura in Via Galileo Ferraris e prima di arrivare sembrava ancora tutto facile. All'ingresso si deve fare tappa ad uno sportello, dietro al quale si trovava una signora molto indaffarata, la quale elargiva consigli e dettava direttive tra una telefonata di servizio e l'altra. Io sapevo che c'era bisogno di prendere un appuntamento per consegnare la documentazione richiesta. In teoria era anche così, ma per prima cosa mi sono visto allungare un bollettino di conto corrente postale con già segnate sopra 80,46 euro, con l'assicurazione che una volta pagato lo stesso Ufficio Postale avrebbe fissato l'appuntamento presso l'Ufficio Immigrazione. Ora dico io: "Vi pare normale?" La Questura è un Ufficio Governativo, un ufficio pubblico. La ditta "Poste Italiane S.p.a." è una società che come ci indicano le tre lettere puntate finali non può essere un ente pubblico, ma un organismo economico/finanziario sottostante anche ad interessi privati. Pare che ci sia una qualche convenzione tra non ho capito se Governo, Prefettura o Questura con questo ente di diritto privato il quale guadagna senza alcun motivo per me plausibile su di una parte del servizio che dovrebbe dare la Questura. Spero che prima o poi qualcuno sia in grado di spiegarmelo; fino ad allora vedo solo un vergognoso inciucio.
  Siamo andati allora come indicatoci alla Posta, ufficio in Piazza Garibaldi, presso il quale però non c'era lo "Sportello Amico", quello cioè abilitato ad incassare gli 80,46 euro, consegnare una busta piena di moduli da riempire dopo l'attenta lettura di una sfilza di norme di legge, pagare ulteriori 30,00 euro per spedire tutto il plico alla Questura. Ci siamo dunque fatti un'altra passeggiata per raggiungere questo benedetto sportello abilitato in un altro Ufficio. Ho chiesto chiarimenti, ma per gentili che fossero gli impiegati non sapevano nulla oltre al fatto di dover dire che era così e basta e consigliare di andare ad un CAAF per l'istruzione della pratica.
  A quel punto ho pensato bene di leggere le norme di legge gentilmente accluse al mastodontico modulo da compilare ed ho trovato, ormai mezzo cecato, la seguente frase: "Allo straniero che effettua la coesione familiare con cittadino italiano o di uno Stato membro dell’U.E. (…) è rilasciata la carta di soggiorno". Detta questa cosa a Muhammad, mi ha confermato che un suo paesano, trovatosi più o meno nella stessa situazione, aveva ottenuto il soggiorno senza pagare gli 80,46 euro più i 30,00 per le Poste. A proposito! Non so esattamente quanti sono i cittadini extracomunitari che nell'anno passato hanno ottenuto il permesso di soggiorno seguendo l'iter a norma di legge, ma posso dire che la ditta "Poste Italiane S.p.a." ogni 100.000 domande di permesso di soggiorno ha imbertato 3.000.000,00 (tremilioni) di euro sonanti. Se un richiedente il permesso di soggiorno consegnasse personalmente a mano il "kit"  questo regalo alla ditta "Poste Italiane S.p.a." si potrebbe tranquillamente risparmiare. Certo immagino che qualche sapientone colle buone o le cattive ora mi vorrà spiegare che ci sono motivi tecnici legati alla digitalizzazione o "dematerializzazione", che secondo me è un neologismo per mascherare pratiche illegali; ma questo è il tema di un altro post.
Dunque, riprendendo il filo, ho consigliato di non pagare subito e ci siamo fatti un altro paio di chilometrucci a piedi per andare al CAAF della CGIL, dove un funzionario che mi ha ispirato fiducia in modo tecnico ed assai preciso mi ha comunicato che in effetti, come già avevo intuito dalla lettura del succitato articolo di legge, non c'era da pagare gli 80,46 euro ed ancor meno i trenta per la ditta "Poste Italiane S.p.a.", dato che nel caso della coesione familiare la pratica era cartacea e l'appuntamento per la consegna dei vari documenti necessari andava dato direttamente dall'Ufficio Stranieri. Dunque altra scarpinata per tornare al punto di partenza: l'Ufficio stranieri della Questura per prendere l'appuntamento.
  Nel bussolotto ora c'era un signore, in borghese come la signora di prima, il quale non telefonava, ma alla mia richiesta di appuntamento mi ha subito sparato che dovevo andare prima alle Poste. Convinto come ero che nel caso in questione questo non fosse necessario, non dico che ha cominciato ad abbaiare, ma diciamo che con tono imperioso mi ha detto una frase del tipo "Ma con chi si crede di stare a parlare!" e poi ha fatto un gesto che in vita mia non avevo mai visto fare a nessun poliziotto italiano ma che conoscevo da qualche telefilm per deficienti poliziesco americano: ha tirato fuori dal collo della camicia una specie di scudetto-medaglione (i tedeschi lo chiamano scherzosamente "Hundemarke" e gli americani"Dog Tag") facendomelo vedere per una frazione di secondo. Alla mia cortese insistenza ha richiesto con tono un tantino arrogante "Lei che lavoro fà". Sulla lingua avevo pronto un bel "Fatte li cazzi tua", ma sono riuscito ancora in tempo a dire "L'interprete, come può vedere". Continuava a ripetere che valeva solo quello diceva lui e che tutti gli altri non capivano niente (non mi ricordo la parola esatta da lui usata); una cosa simile mi aveva anche accennato il consulente dal CAAF, ma penso che forse si riferisse agli impiegati della ditta "Poste Italiane S.p.a.". Gli ho dunque tirato fuori la frase di prima leggendola ad alta voce. Rileggendo anche lui quel brano che in teoria doveva conoscere a memoria ha avuto l'animo e lo spirito di dirmi candidamente: "Prima facevamo così, ma era sbagliato". Percepito un momento di sua debolezza, gli ho buttato lì: "Sa, io faccio anche il giornalista, e prima di prendere per certa una cosa studio a fondo quanto possibile." Ora non so se era la mia affermazione o la parola "giornalista", ma si era evidentemente calmato un pochino e ci siamo salutati. Mi sono preso i moduli e li compilerò nel corso del fine settimana e ci ripresenteremo all'Ufficio Stranieri con le idee chiare e taglienti come una Katana.
 
Ora chi fosse arrivato a leggere fino a questo punto deve solamente immaginare un richiedente che senza potersi permettere un interprete entra in un girone di questo genere. Dopo un po' è normale che vai in giro parlando solo. Anche io tornando a casa mi ripetevo sottovoce "Questa storia la scrivo!".

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