venerdì 26 agosto 2016

Alla ricerca dell'Ur-Matriciana

Una ricetta fa parlare di se chiunque, ma pochi ne capiscono qualcosa

"... sull'Amatriciana, sulla sua origine, sulla ricetta, hanno voluto costruire un castello di illazioni. Senza voler mettere nel conto le variazioni, gli accomodamenti, gli adattamenti, che si sono verificati in questi ultimi tempi." Così si esprimeva nel 1991 il noto giornalista romano, grande, vero e profondo conoscitore della cucina romana e laziale Livio Jannattoni.
  La storia dunque è ingarbugliata ed assai difficile risulta sbrogliare la matassa. Del resto ancora non si è potuto stabilire unanimemente, se la gastronomia sia un'arte oppure una scienza. Fatto è, che, nel caso in cui fosse un'arte, se ci si vuole occupare della materia, è necessario applicare metodi scientifici per indagarla. Si deve basare tutto, o almeno quanto è possibile, su fatti e dati incontrovertibili, testimonianze attendibili, documenti credibili.
  I nostri progenitori più lontani, prima che diventassero agricoltori -questo tutti lo sanno- si nutrivano di quello che loro capitava, alla bruta. Per una serie di motivi si trasformarono in carnivori, e poi in agricoltori ed allevatori, imparando ad escogitare ogni espediente possibile per poter mettere ogni giorno che passa qualcosa di decente sotto ai denti.
  Atavici riti propiziatori e cerimonie espiatorie legate al cibo, dal reperimento al consumo, cui si aggiunge in seguito la nascita di comunità complesse e la differenziazione dei ruoli economici e sociali, sono in fondo alla base della gastronomia come la viviamo oggi.
La base fondamentale per preparare una autentica 'matriciana:
il guanciale, stagionato in un manto di peperoncino.
  Di tutto ciò che compone e rappresenta la gastronomia delle origini non sapremo mai nulla di esatto e preciso. Come noi, non lo poteva sapere nemmeno Archestrato, poeta siciliano del quarto secolo avanti Cristo, autore di uno dei primissimi trattati di gastronomia di cui abbiamo notizia. È comunque per una complessa serie di fatti e circostanze che oggi la pasta "alla 'matriciana" è tra i primi piatti più famosi della cucina romana, primato conteso dalla pasta cacio e pepe, in tempi remoti, ed oggi più che altro dalla carbonara.
  Fiumi di inchiostro, fino a qualche anno addietro, sono stati vanamente versati per dare una storia a questo piatto, mentre oggi abbiamo, grazie alla rete, terabite di ricette, consigli e storielle, sotto forma di testi scritti e parlati, foto e filmati che ci raccontano cose vere e meno vere, in una soffocante ipertrofia informativa. C'è anche chi rivendica alla propria proposta o storia unicità, attendibilità ed autorità conferita non si sa da chi. Ma tutte queste ricette e storie raramente sono in grado di far capire cosa fa della 'matriciana un piatto straordinario.
  Ma iniziamo la ricerca dell'Ur-matriciana allineando sulla tavola alcune certezze. La ricetta, come ci indica inequivocabilmente il nome, ha qualcosa a che fare con Amatrice, e su questo c'è poco da aggiungere.
  Secondo elemento è l'uso del pomodoro in una ricetta romana. Tutti quelli che sostengono che la 'matriciana vera si faccia senza il rosso frutto andino, aggiungendo che il piatto dovrebbe veramente chiamarsi "alla gricia", dovrebbero essere messi a pane ed acqua per qualche mese, banditi da tutte le cucine del regno ed interdetti da qualsiasi funzione culinaria. Parlano a vanvera e confondono le salse!
Volendo una 'matriciana si può fare con vari tipi di pasta,
ma la migliore in assoluto è la pasta fresca alla chitarra
  Essi non sanno che la cucina romana, almeno quella che ancora si tramandava di generazione in generazione davanti ai sacri fornelli di casa, prima che il mangiare quotidiano della tradizione venisse sconvolto dalla prima guerra mondiale, da venti anni di fascismo con le sue mense dell'OND, dai nove mesi di occupazione tedesca, dallo choc culturale ed alimentare importato dai cingolati dei liberatori americani, dagli sconvolgimenti sociali ed economici degli anni della guerra fredda, il boom economico, i surgelati ed il forno a microonde, praticamente si caratterizzava per uno straordinario conservatorismo. Anche se dagli inizi dell'ottocento nei paesini sparsi oltre la fascia semidesertica della Campagna Romana già ci si sfamava con patate, mais e pomodori, Roma respingeva risolutamente l'uso comune di frutti e prodotti troppo nuovi. Per capirci, questo è il motivo fondamentale per cui in tutto il Lazio gli gnocchi si facevano con le patate, mentre dalle cucine della Dominante uscivano esclusivamente gnocchi di semola di grano, serviti in bianco.
  Nel sud d'Italia, o meglio nel Regno delle Due Sicilie di buona memoria, della ricchezza gastronomica il pomodoro, le patate ed il peperoncino erano tra le componenti fondamentali già alla fine del seicento. Dal Sud Roma importava di tutto, meno patate e pomodori. Basta leggersi gli avvisi degli sbarchi a Ripagrande che pubblicava agli inizi dell'ottocento il "Diario di Roma" per capacitarsene.
Per finire di sciogliere bene il guanciale è bene aggiungere
ad un certo punto una manciatina di cipolla tritata fina.
  Orbene, tutta questa tirata per dire che la 'matriciana è la prima pietanza contenente del pomodoro consumata dai romani di Roma. La particolarità sta tutta qui, perché ebbe qualcosa di rivoluzionario, di sensazionale e di straordinario. Ma va a questo punto detto, che la 'matriciana, almeno fino a prima della seconda guerra mondiale, era più che altro un piatto da festa, da trattoria, da occasione particolare; non faceva parte della quotidianità alimentare casalinga, così come la coda alla vaccinara, altro piatto della "tradizione" romana che ancora oggi quasi nessuno fa in casa, ma se lo va a gustare al ristorante.
  I lettori più attenti e perspicaci si saranno ben accorti che non ho scritto "bucatini", come molti si aspettavano, ma ho usato, volutamente, il termine generico "pasta". Questo è un ulteriore elemento certo che ci avvicina alla Ur-matriciana. La ricetta, come abbiamo già appurato, viene da Amatrice, e partendo da quel bell'angolo montagnoso, dedito principalmente, almeno allora, alla pastorizia, di certo aveva il guanciale, che analizzeremo attentamente più oltre, e il pecorino, quasi certamente la cipolla, ma non i bucatini, al cui posto però non poteva che trovarsi niente altro che della pasta. La pasta secca, prodotta industrialmente in centinaia di formati diversi, è anche cosa antica e tradizionale, ma limitata ad una diffusione metropolitana. Nei paesini di montagna la pasta si faceva in casa, e raramente un maccaronaro risaliva gli appennini per offrire la propria merce; lo avrebbero deriso. Qui possiamo ipotizzare un primo elemento costitutivo della Ur-Matriciana: la pasta fatta in casa. Non bisogna essere un esperto per sapere che la pasta fatta in casa in Abruzzo ha grande tradizione, e ci possiamo dunque immaginare realisticamente, che la prima 'matriciana mai fatta al mondo abbia visto nel piatto della pasta "alla chitarra" o comunque dei tagliolini o pasta fresca del tipo degli "strozzapreti".
  Non è certo questa la sede per ripercorrere la lunga ed anche travagliata storia delle paste alimentari e di tutta quella complessa galassia di gnocchi, maccheroni, fettuccine, tonnarelli, vermicelli, fidelini, spaghetti e via dicendo, che sono non solo vanto gastronomico italiano, ma vero e proprio patrimonio culturale universale le cui radici si perdono in tempi assai remoti e di cui abbiamo ampia traccia in epoca romana. Per ridurre tutto all'osso, basti dire che la pasta, dopo bollita in abbondante acqua salata, è buona anche senza nessuna aggiunta, ma un po' di grasso (olio d'oliva, burro o unto di maiale) ed una spruzzata di formaggio stagionato grattugiato ne fanno un cibo sublime. Questo ci fa capire concretamente, che scolare della pasta e buttarla in una padella nella quale sono stati sciolti dei cubetti di grasso di maiale stemperati con una manciata di cipolla tritata rendono questa pasta, con l'aggiunta del formaggio, un cibo irresistibile; il guanciale è senza dubbio la parte dal sapore più delicato e gustoso. Una ricetta siffatta in effetti esiste ed a Roma e dintorni è nota da tempi immemorabili col nome di "gricia" e non si può nemmeno negare l'evidenza del fatto che la 'matriciana sia una "gricia" con l'aggiunta del pomodoro.
  Questa aggiunta non è un capriccio da grand chef o l'idea geniale di quale guru televisivo dei fornelli, ma ha un motivo tecnico-economico ben preciso. Il pomodoro si scioglie parzialmente nel grasso o nell'olio, e dunque serve a risparmiare il guanciale, senza rimetterci nel gusto. Ora, una volta capiti i motivi per i quali esista una salsa composta da guanciale, cipolla, formaggio e pomodoro, resta solo da capire perché Amatrice e come mai a Roma.
  Il già citato Livio Jannattoni ipotizzava che la 'matriciana apparve a Roma nella prima metà dell'ottocento e venisse servita in una delle tante osterie con cucina o locande gestite da famiglie provenienti dall'Amatrice. Nulla di più probabile, anzi, sicuro. Il Cavalier Alessandro Rufini nel 1855 pubblicò l'oggi rarissimo volumetto intitolato Notizie storiche intorno alla origine dei nomi di alcune osterie, caffè, alberghi e locande esistenti nella Città di Roma, nel quale troviamo diversi esercizi gestiti da persone provenienti da Amatrice, come ad esempio in Via Di Torre Di Nona (in parte cancellata dalla costruzione degli argini del Tevere) la Osteria dei Matriciani, della quale l'autore ci dice: "Così la presente osteria è chiamata, perché viene condotta da alcuni individui nati in Amatrice nel regno di Napoli", oppure nel Vicolo Del Governo Vecchio la Osteria del Corallo, della quale si raccontava che "così si chiamasse, perché la moglie del primo padrone, che era matriciano, portava nel collo una quantità di fili di corallo assai grossi, che veduti dagli avventori, non tralasciarono di subito chiamare il detto spaccio di vino del corallo". 
  Il numero di amatriciani presenti a Roma crebbe notevolmente dopo la stagione politica francese terminata nel 1814, come risulta anche dai registri parrocchiali romani di quegli anni. Non è stato ancora possibile trovare dei riscontri certi, ma pare a questo punto evidente, che molti degli amatriciani, impiegati spesso come facchini, frequentassero le locande e le osterie dei propri compaesani, nelle quali trovavano anche pietanze preparate con pomodoro o peperoncino; venendo frequentate queste stesse osterie anche da altri avventori, piano piano la pasta con guanciale e pomodoro, in virtù della sua strabiliante bontà, conquistò anche i romani.
  Abbiamo appena visto che Alessandro Rufini afferma che Amatrice si trovi nel Regno di Napoli, e la cosa non è di importanza secondaria. Considerando che la zona di Amatrice è stata annessa al Lazio solamente nel 1927, gli amatriciani hanno condiviso per secoli col resto del Regno delle due Sicilie gioie e dolori. Tra le gioie possiamo annoverare quelle gastronomiche, ricordando che furono tra i primi ad assaporare patate, pomodori, peperoni e peperoncini. Il Regno di Napoli, che fu per lungo tempo legato alla Spagna beneficiò tra i primi in Europa dei frutti d'oltreoceano. L'Abruzzo è terra di patate, pomodori, zafferano e peperoncino, e si suppone che arrivarono con i soldati spagnoli impiegati nelle fortezze principali del regno.
La 'matriciana non deve essere una salsa di pomodoro, ma un condimento al pomodoro. Gran parte dei filetti di pomodoro
si scioglieranno, in base ad un complesso processo chimico, e permetteranno di risparmiare il prezioso guanciale.
  Il peperoncino ben presto sostituì il più costoso pepe per la conservazione delle carni suine secche, contenendo dei potenti anti-imputridenti naturali, ottimi per conservare prosciutti, lonze, pancette e guanciali. Tra le altre cose, questo è il motivo per il quale si dice che nella 'matriciana ci vada anche del peperoncino. Si, è vero, ci va, ma deve essere quello che rimane sui pezzetti di guanciale.
  Non sappiamo in quale o quali osterie, non sappiamo l'anno, ma di certo la pasta preparata con questa ricetta tipica degli amatriciani divenne di moda, e tutti i trattori si adeguarono, più o meno come successe dopo la seconda guerra mondiale con la carbonara, ma questa è un'altra storia.
  Riassumendo si può dire che: il peperoncino ed il pomodoro sono arrivati dalle parti di Amatrice verso la fine del '600 con i soldati spagnoli impegnati nelle guarnigioni di frontiera; accortisi i matriciani che col pomodoro si risparmia guanciale e che anche il peperoncino conserva bene le guance di maiale, la pasta condita con grasso di maiale e pecorino si arricchisce e diventa la 'matriciana. La 'matriciana arriva a Roma da Amatrice ed in seguito si diffonde anche tra i romani tra il 1815 ed il 1850. 
  Di oste in oste, di mano in mano naturalmente la ricetta, gli ingredienti, qualche tocco particolare cambiano e si evolvono. Gira da qualche tempo una "autentica ricetta", fatta propria dalla Proloco di Amatrice, nella quale si propone di far abbrustolire una parte dei pezzi di guanciale, per poi rimetterli sopra alla pasta impiattata. Si tratta di uno stupido francesismo che appartiene ad un mondo gastronomico diverso e che con la nostra 'matriciana non ha nulla da spartire.
  Per concludere si può dire che se una "Ur-matriciana" esiste, questa ha bisogno di guanciale conservato col peperoncino piccante, da far sciogliere, magari assieme ad un pezzetto di strutto o una goccettina di olio, buttandoci sopra una manciata di cipolla tritata, la cui umidità impedirà la carbonizzazione del guanciale; sciolta anche la cipolla, si aggiungono dei filetti di pomodori pelati, da far amalgamare bene col grasso. Scolata la pasta, questa si spadella nella salsa e ci si aggiunge il pecorino grattugiato.
Il piatto non va decorato, come vorrebbero i filofrancesi, perché la 'matriciana è un trionfo!

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