martedì 7 aprile 2020

La Guerra Totale, anzi virale (II)

La guerra totale (II - seguito della prima puntata)
  Ciò che fa credere, o vuol far credere, che ci troviamo veramente nel bel mezzo di una guerra guerreggiata è il linguaggio di gran parte dei mezzi di comunicazione di massa, dai giornali-carta-igienica alle paludate testate autorevoli, dai radio- e telegiornali di ogni risma e pacco fino alle fanfare elettroniche che rimbalzano da un angolo all'altro del mondo lungo la rete ormai completamente ingarbugliata di internet.
  Questo linguaggio ha delle preoccupanti assonanze con discorsi fatti da altri in altri tempi… ho quasi paura di fare nomi e rivelare date, ma non posso farne a meno. Sto infatti parlando del tristemente famoso "Discorso del Palazzo dello Sport di Berlino" del satana della propaganda fascisto-nazista Joseph Goebbels tenuto il 18 febbraio 1943, con il quale tentò di sminuire la portata della sonora batosta mortale di Stalingrado; tutti sapevano dell'annientamento della VI armata di Paulus, che tra l'altro si rifiutò di obbedire agli ordini folli di Hitler, ed era evidente a tutti che la guerra era ormai arrivata ad una svolta definitiva.
  Anche se singole voci avevano messo in guardia di fronte ad una aggressione contro l'Unione Sovietica, Hitler era convinto che bastasse conquistare Stalingrado, utilizzandola come trampolino per la conquista completa dell'Unione Sovietica. Pensava evidentemente che l'alone di invincibilità che inopinatamente era cresciuto attorno alla Wehrmacht intimorisse tutti i suoi avversari e potesse andare a colmare le ultime debolezze strutturali e materiali dei suoi eserciti: dove non arrivavano i cannoni arrivava il sacro terrore. Un grande abbaglio, evidentemente, visto che dal 1870 l'esercito tedesco aveva collezionato solo brucianti sconfitte e molti dei suoi generali erano gli stessi che avevano perso la prima guerra mondiale. Questo terrore poteva forse funzionare con la Polonia, ma non con l'Unione Sovietica.
 
Questo fu in effetti il secondo tragico errore del folle: la totale sottovalutazione di quello che era il suo grande avversario. Innanzitutto non aveva probabilmente un'idea esatta delle dimensioni del territorio da occupare. Oppure le carte geografiche a sua disposizione erano fatte molto male, o proprio non era in grado di capirle.
  Un reduce tedesco dalla Russia raccontò una volta che arrivato in Lettonia poco dopo l'inizio dell'operazione Barbarossa fu acquartierato in casa di una famiglia di lingua tedesca di Riga. Aveva la sensazione di aver fatto un tragitto lunghissimo fino a li e proclamò orgoglioso che ormai la Russia era nelle mani del vittorioso esercito del Reich. La coppia ospitante tacque, ma la figlia dodicenne prese da uno scaffale un atlante e lo aprì sotto al naso del prode guerriero teutonico. Col suo ditino indicò la Lettonia, una piccola macchia di colore su di una grande doppia pagina e poi con lo stesso dito fece un giro lungo i contorni del resto dell'Unione Sovietica. In quell'esatto momento capì che la guerra non poteva che essere persa.
  Ma come hanno fatto diversi capi di stato minimizzando il virus e non rendendosi conto del reale pericolo, Goebbels affermava con voce suadente che vi era stata una "crisi sul fronte orientale". Poi, contraddicendo se stesso, parla di un "forte grido d'allarme del destino rivolto alla nazione tedesca". Per elettrizzare il suo uditorio dice che sarebbe stato un pericolo esiziale se nel 1933 fosse nato un regime borghese o democratico in Germania, ed usando un'immagine medica, sosteneva che dieci anni di nazismo avevano dato alla Germania gli anticorpi necessari contro il bolscevismo.
Secondo la sua versione l'Unione Sovietica era l'aggressore, salvo aggiungere che fu il Führer nel 1941 ad aggredire l'Unione Sovietica.
  Sembra di stare a sentire le tante cavolate che circolano attualmente sul virus, la sua origine, i suoi "mandanti", i veri colpevoli, le necessità e le restrizioni.
Ma fa impressione in particolare: "Mi oppongo fermamente all'affermazione secondo cui le nostre misure mirano a smantellare la classe media o monopolizzare la nostra economia. Dopo la guerra, la classe media verrà immediatamente restaurata economicamente e socialmente nella massima misura possibile.
(2-segue)

sabato 4 aprile 2020

La guerra totale, anzi, virale (I)

Ma per davvero siamo in guerra?

Con insistenza dobbiamo sentire in questi giorni un linguaggio marziale, che fa diventare una grave emergenza sanitaria una vera e propria guerra. Visto che si tratta di una pandemia che ha fino ad oggi risparmiato solamente l'Antartide (e la ridente cittadina di Nemi), stiamo parlando di una guerra mondiale, che sarebbe dunque la terza.
  Ma questo paragone regge? È da prendere sul serio? Io credo che da prendere sul serio ci sia innanzitutto il belligerante virus, che contro ogni logica strategico-militare ha dichiarato guerra ed ha invaso tutte le nazioni, tutti gli stati attualmente esistenti al mondo. Incredibile il fatto che gli aggrediti, invece di coalizzarsi, continuino a battibeccare, a fare un po' gli scemi e tanto i furbetti; come se il virus potesse essere usato come comodo alleato contro qualche paese o continente concorrente.

L'armata Brancaleone
Ammesso e non concesso che si tratti realmente di una guerra, andiamo ad analizzare la questione più da vicino. In effetti le similitudini sono molte. Tante cose ritenute importanti sino a ieri e tante cose facili e semplici cui si era abituati, cambiano radicalmente. Abbiamo ad esempio notevoli restrizioni alla libertà di movimento ed una inevitabile modifica delle abitudini alimentari sul piano privato-personale, mentre per quanto attiene all'economia, un autentico scossone debilitante, che fa svanire tante certezze e comodità, mette in crisi tutto il sistema economico e getta sul lastrico un gran numero di persone. Sullo sfondo, infine, la morte di tante persone in più rispetto a tempi normali.
Una differenza sta nel fatto che questa guerra non è combattuta con armi usuali, cioè senza navi, aerei, carri armati, cannoni, razzi, missili, pistole, esplosivi, bombe, baionette, spade e pugnali. Questo però, probabilmente non vuol dire poi tanto, dato che negli ultimi 500 anni armi e strumenti di guerra in guerra sono sempre cambiati.
  La differenza più grossa sta nel fatto che sembra essere un conflitto privo di motivi. Che motivi avrebbe questo virus per aggredire il mondo intero? Non ha interessi economici o finanziari, non ha mire territoriali, non porta in seno sogni di glorie e trionfi imperiali; semplicemente si propaga, si moltiplica e si diffonde usando come mezzi quegli ammassi biologici viventi che sono gli esseri umani. Sembra pure che non abbia la precisa intenzione di uccidere, di sterminare tutti. Alcuni umani li usa senza alcuna conseguenza, solo come veicoli per diffondersi più facilmente e rapidamente, altri li mette fuori combattimento, ma solo per un po' e senza gravi conseguenze, altri invece li ammazza proprio, ma sembra quasi senza intenzione e premeditazione. Una guerra senza un obiettivo reale e con una tattica sconclusionata.
(1-segue)





mercoledì 7 agosto 2019

Lettera aperta a Nicola Zingaretti

Caro Nicola Zingaretti,
  già altre volte mi sono permesso di scriverti via posta elettronica in replica a tue missive non richieste a me indirizzate, ma risposta mai mi giunse. Non so se perché tu sia un po' maleducato, oberato di lavoro o circondato da collaboratori totalmente incapaci e non all'altezza dei compiti loro affidati.
  Questa volta dunque non ti scrivo direttamente, ma affido il mio messaggio alla loquace piazza di facebook, sperando in cuor mio che qualcuno prima o poi ti riporti quanto qui mi accingo a stilare nero su bianco.
  Ti premetto che pur essendo un vecchio comunista appartenente alla famosa frazione di Mario Brega di verdoniana memoria, non sono in nessun modo e maniera vicino, attratto o simpatizzante del PD, neanche per sbaglio. La cosa la espressi subito e senza peli sulla lingua nel 2007 in occasione della fondazione del PD stesso. (https://youtu.be/yCeogUZ0FuI); ma questo comunque non mi impedisce di operare nei tuoi confronti una cauta attenzione, presupponendo che tu sia in fondo in fondo una persona per bene. Ora, da che hai preso in pugno, almeno così si vuol far credere, le sorti di questo partito, o presunto tale, mi aspetto azioni capaci di mostrare concretamente che la drammatica e disgustosa parentesi della masnada fiorentina sia giunta al termine ed archiviata per sempre.
  Devo al contrario ora lamentare l'ennesimo caso in cui una grande occasione è stata sprecata, con conseguenti gravi danni non solo per il PD, della cui sorte sinceramente ben poco me ne cale, ma di tutto questo nostro disgraziato paese, ormai saldamente nelle stritolanti mani di una variopinta accolita di profittatori, mascalzoni, ladri, beffardi truffatori e ciurmaglia di deficienti assortiti al seguito.
  Innalzo ora ad un cupo cielo i miei lai disperati per l'ennesima grande occasione persa per riportare il nostro martoriato paese, non dico ai grandi splendori di cui per il nostro passato possiamo pur vantarci, ma almeno ad una dignitosa normalità, della quale tutti profitteremmo.
Non hai impedito al PD di votare compatto assieme ai nemici di sempre, alle combriccole laide ed immorali, ai relitti di un passato orrido dal quale ci siamo in passato liberati, almeno per un po' di tempo, anche grazie al tributo di sangue offerto dalla tua stessa famiglia. La tua imperdonabile mancanza è tanto più grave quanto più si considera che avresti potuto prendere due piccioni con una sola fava!
  Bastava che, come qualcuno aveva già proposto, il PD in occasione del voto sulla mozione del Movimento Cinque Stelle contro l'inutile scempio della Val di Susa, avesse abbandonato l'aula. L'effetto alla lunga sarebbe stato ad occhio e croce questo: la mozione sarebbe passata, si sarebbe aperto uno scenario in cui, in vista di nuove elezioni in seguito all'uscita dal governo della Lega, si sarebbe dischiusa la possibilità di una trattativa e possibile collaborazione col suddetto Movimento, in vista di una coalizione o alleanza, unica possibilità in positivo per il nostro futuro; allo stesso tempo sarebbe stato più facile espungere dallo scroto del PD le fastidiose zecche dalla 'c' aspirata.
  Non l'hai fatto così tanto per non farlo, non te l'hanno fatto fare o addirittura ti hanno costretto a non farlo? Sarei curioso di saperlo, ma tanto non mi hai mai risposto e sono sicuro che non mi risponderai neanche questa volta.
Fraterni saluti

giovedì 18 luglio 2019

Sulle antiche feste unitarie civitane

Dalle memorie inedite di un vecchio comunista:

"… nel 1971 cadeva un anniversario molto importante per il Partito: erano passati esattamente 50 anni dal Congresso di Livorno, durante il quale ebbe luogo la scissione all'intero del PSI, dalla quale nacque il nostro Partito Comunista Italiano. Per l'occasione il Partito chiedeva a tutti i quadri dirigenti e militanti uno sforzo particolare per onorare in modo degno la ricorrenza. Dalla Federazione di Roma, tramite il Comitato di Zona di Albano arrivò in Sezione una circolare ciclostilata nella quale si invitava tutte le sezioni ad organizzare una "Festa dell'Unità", grande momento propagandistico e di lotta per mobilitare le migliori forze del paese in un momento che sembrava propizio per un grande balzo in avanti del Partito sulla via Italiana al Socialismo.
La circolare me l'ero letta per primo, anche perché ero io che andavo regolarmente ad Albano per tenere i contatti con il comitato di Zona. In quel momento c'era una situazione un po' particolare in Sezione. Con un congresso il vecchio segretario di sezione, ex sindaco durante gli anni più duri dell'occupazione delle terre e della guerra fredda, era stato sconfitto da un giovane carpentiere metallico, il quale, dopo una intera gioventù molto lontana dalla politica, a parte la richiesta di raccomandazione al Parroco, -andata a buon fine con un bell'impiego come autista presso un'ambasciata latino-americana- sulla via di Damasco, o forse di San José (ma fa lo stesso), era caduto dall'automobile diplomatica e si rialzò da terra comunista.
Questo giovane segretario era dunque di primo pelo rosso e non conosceva, o meglio, non riteneva le feste dell'Unità cosa sufficientemente importante da perderci tempo e sentenziò che non era possibile organizzare così, su due piedi, una festa dell'Unità a Lanuvio.
La cosa mi sembrava alquanto strana, e chiesi lumi ad un compagno, Oreste Renzi, che sin dal primo momento in cui lo incontrai in sezione mi sembrò molto sincero ed affidabile (va detto che per fortuna non era l'unico), col quale discussi la questione apertamente ed alla fine decidemmo che se al segretario non fregava niente della festa, noi l'avremmo organizzata lo stesso!
Dal Comitato di zona ci arrivarono i tabelloni di una mostra che illustrava la storia dell'Unità, dai primi gloriosi inizi durante le lotte della classe operaia torinese, attraverso la clandestinità per le persecuzioni fasciste, la lotta della Resistenza per liberare l'Italia dal fascismo e dagli invasori nazisti fino alle battaglie politiche per affermare la Costituzione Repubblicana e la Democrazia.
Nelle nostre intenzioni volevamo organizzare una grande festa, con giochi, dibattiti e concerti, oltre naturalmente uno stand gastronomico, ma riuscimmo a malapena ad istallare la mostra dietro al fontanone.
Comunque il primo passo era fatto! A partire dal 1972 le Feste dell'Unità di Lanuvio ebbero un crescendo di successi, tanto che anche altri comuni vicinori (come li chiamava il Compagno Ruggero Michetti) tentarono di imitarla, con scarsi risultati.
Ricordo con sentimenti di tenerezza lo slancio di tante Compagne e Compagni, che sinceramente e con entusiasmo partecipavano all'organizzazione dell'evento, con in mente grandi obbiettivi ed ideali, i quali con pazienza aspettavano, ed oggi ancora, aspettano di essere realizzati.
Nel 1976 non potei organizzare la Festa a Lanuvio,
dato che stavo assolvendo il mio servizio militare, ma
feci una fuga a Napoli per non perdermi il comizio di
chiusura della grande Festa Nazionale. Io sono
quello indicato dalla freccia giallorossa.
Vorrei qui fare i nomi di tutte le persone che diedero il proprio contributo alle feste, mettendoci faccia e braccia, ma non li posso citare tutti quanti. Simbolicamente ne citerò due. Ricordo in particolare Emilia (Miliuccia) Paglia, una dirigente contadina, animatrice degli scioperi contadini del 1908. Tutte le domeniche mattina mi attendeva seduta accanto alla porta della sua casetta stringendo nelle mani le poche Lire che costava allora il giornale. Una mattina, preso da una straordinaria foga da agit-prop, le consigliai di leggere un determinato articolo a non so che pagina. Lei mi fece un sorriso e disse: "Compagnuccio, ma io nun saccio lègge". Quando le chiesi perché allora si comprava tutte le domeniche il giornale, mi disse: "'O faccio p'u partitu". Miliuccia era anche una "veterana" della Festa dell'Unità di Lanuvio, quando si festeggiava alla Curva delle Fontanelle. Fu purtroppo una stagione breve quella delle prime Feste dell'Unità, ma indimenticabili. Ogni volta Miliuccia, anno per anno, veniva chiamata a furor di popolo al palco e lei cantava l'Inno della Lega.
Una volta le chiesi pure delle parole della canzone, ma ricordava ormai solamente la prima strofa; aveva anche una certa età. Ma quando lei cantava alle Fontanelle c'era ad ascoltarla con attenzione un giovane Mario Martufi, ed un giorno mi recitò tutto il testo, ed aveva pure fretta a passarmelo "primma che me scordo pure io":

Il 15 gennaio
in Genzano de Roma
se riunivano i braccianti
cò gran volontà bbona
E tutti uniti dissero allor:
famo la lega per il lavò

E noi preghiamo a vvoi
Civitani e Nemesi
de mettese alla lega
coi vostri genzanesi
Non ci tradite sarebbe 'n'eror
ch'abbiam sofferto del gran dolor

Noi abbracciamo tutti
anche se so' frostieri
noi siamo dei fratelli
però quelli veri
Non ci tradite sarebbe 'n'eror
ch'abbiam sofferto del gran dolor

Ma i patronali uniti
dissero tra di loro:
sospendere il lavoro
per affamare il povero
Compagni unimoci, unimoci sì
ch'è ggiunta l'ora, venuto è quel dì.

Quinidici giorni intieri
senza trovà lavoro
sempre si confortavano
amandosi tra loro
Viva la lega! evviva il lavor!
compagni uniamoci di vero cuor

Dopo tanto soffrire
si ebbe un dì vittoria
e si ebbe poi l'onore
di scrivere la storia
Compagni unimoci, unimoci sì
ch'è ggiunta l'ora, venuto è quel dì.

Un altro nome che credo vada fatto è quello di Dante D'Alessio (Dante de Veleno), il quale non solo fu un fiero militante antifascista quando proprio non era comodo esserlo e fu poi segretario della Sezione Lanuvina. Tante storie su di lui si raccontavano, nel bene e nel meno bene (il male mai!) ma fu anche lui ad organizzare le primissime Feste dell'Unità civitane e fu durante una di queste che ebbe luogo al Pascolaro che declamò, stringendo fermamente in pugno il sanguigno labaro l'indimenticabile frase: "Alla luce di questa Bandiera Roscia semo riccotu pe' l'Unità qundicicentu lire!"
Dante, onorando il suo nome, era anche poeta e la eco dei suoi componimenti risuonava spesso nelle più moderne feste dell'Unità au tranvf, grazie alla possente e ferma voce di Lorenzo Pomponi; a furor di popolo doveva immancabilmente declamare l'ode di Dante (de Veleno) che iniziava con le parole "Fosti abbaututo di schianto nostro simbolo e guida!" alla fine della quale intonava il più antico inno del Partito Comunista Italiano, ed al ritornello sempre qualcuno gridava la domanda: "CHI È!!!" ed il coro, nonostante il fiume di vino già scorso con voce limpida ed in modo roboante rispondeva: "La Guardia Rossa che marcia alla Riscossa!".

giovedì 21 marzo 2019

Una vittoria inquietante

Postato il 23 giugno 2016, subito dopo la vittoria elettorale di Virginia Raggi.:

Non fatevi ingannare dal titolo. Non voglio sostenere -anche perché non lo penso- che il fatto che sia diventata sindaco una rappresentante del Movimento 5 stelle rappresenti un pericolo per Roma. La nostra cara città ha visto di peggio e questa vittoria di certo non è un pericolo. Non è un pericolo per la città, ma per la formazione politica trionfante lo è di certo.
Da ricercatore storico devo dire che in primo luogo non si vuole imparare dalla storia. A volte basta fare un'analisi attenta ed un confronto serio con esperienze passate, con i dovuti e necessari "se" e "ma", e si può capire come potrà evolvere la situazione.
Dunque procediamo. Il movimento di Beppe Grillo, pilotato da Casaleggio che ora non c'è più, è passato nell'arco di pochi anni di vittoria in vittoria. Solo due anni fa non ci si sarebbe potuto credere, mentre oggi assistiamo ad una battaglia vinta dopo l'altra (delle sconfitte, episodi minori, ancora nessuno pensa di dover parlare) Del resto sono importanti le vittorie, i momentanei arresti non contano.
Sembra di assistere all'espansione dell'Impero Romano ai tempi di Ottaviano Augusto. Tattica e strategia erano giuste, ed il resto del mondo sembrava a portata di mano.
Arminio, il traditore
All'apice della sua espansione -Roma sembrava ormai imbattibile- il grande imperatore fece un errore fatale, dalle conseguenze negative tragiche da cui non riuscì più a sottrarsi. Questo errore fu la nomina di un avvocato alla carica di comandante. Sto parlando di Publio Quintilio Varo, al quale, per essere un bravo avvocato, mancava totalmente il senso pratico e non era in grado di comprendere le persone, in modo particolare i suoi nemici.
Avrebbe dovuto mettere ordine nelle lande ad est del Reno, popolate da barbari, hooligans, banditi, cacciatori e mercanti di schiavi, ed invece portò ben tre intere legioni, compreso il personale civile e le famiglie dei legionari al massacro. Nessuno sopravvisse. Quel disastro fu la fine dell'espansione inarrestabile di Roma.
Cosa ci insegna dunque questo episodio storico? Prima di tutto che un avvocato in politica non è una scelta intelligente, secondariamente che nella foresta selvaggia che è attualmente il Comune di Roma, gli Armini sono già al lavoro e rappresentano un pericolo reale che gli avvocati tendono solitamente non solo a sottovalutare, ma addirittura a non vedere.
Già, dimenticavo: chi cavolo è 'sto Arminio? Questa la definizione che ne da wikipedia: Arminio (latino Gaius Iulius Arminius) … principe e condottiero della popolazione dei Germani Cherusci, ex prefetto di una coorte cherusca dell'esercito romano, nonché traditore del Senato e del Popolo di Roma.
Poi non dite che non vi avevo avvertito!

domenica 13 maggio 2018

La strage che non ci fu

Alcune considerazione sulla cosiddetta strage del "Ponte di Ferro", la quale probabilmente, anzi, sicuramente non è mai avvenuta.

1. La fucilazione
Questa fucilazione di dieci donne non è mai avvenuta e mai sarebbe potuta avvenire come raccontata nelle "testimonianze" che la dovrebbero avvalorare. Dai racconti non si capisce se si sia trattato di esercito (Wehrmacht) o SS. La Wehrmacht non può essere stata, dato che nell'area della "Città aperta" sarebbe dovuto intervenire il "Feldgericht" (Tribunale militare dell'Esercito) di Roma, il che significa che le dieci donne sarebbero comunque transitate nella "Wehrmachtshaftanstalt" (luogo di detenzione di competenza dell'esercito - alias Regina Coeli), per cui tra Polizia, Carabinieri, Comando di Roma Città Aperta e via elencando qualche pezzo di carta ci sarebbe rimasto. Non può essere stata la Wehrmacht anche in considerazione del fatto che un assalto al forno di regola era di competenza degli organi di polizia, sia italiani sia tedeschi, e sarebbe al massimo intervenuta la Ordnungspolizei e l'affare l'avrebbe trattato uno specifico ufficio di Via Tasso. Se così fosse stato, al più tardi in uno dei tanti processi tenutisi a Roma con accuse di collaborazionismo o comunque fatti legati all'occupazione della città sarebbe venuta a galla; non ultimo se ne sarebbe anche occupato il processo a Kappler e compari, nel quale non si trova traccia di questa clamorosa fucilazione. Va poi ancora considerato che la Wehrmacht arrestava e deferiva al Feldgericht chi veniva accusato di aggressione alla Wehrmacht, sabotaggio o altro, ma non di certo l'assalto di un forno, a meno che non si trattasse di uno stabilimento direttamente dipendente dall'esercito, che sarebbe stato però sorvegliato a tal punto, che nessuna donna di Roma avrebbe mai pensato di assaltarlo.
In Roma, nel perimetro di competenza della "Città Aperta" le uniche fucilazioni eseguite su sentenza ed ordine del Feldgericht sono quelle note di Forte Bravetta.
Nelle immediate vicinanze, verso Tivoli, ci fu la fucilazione di dieci uomini il 23 ottobre 1943 a Ponte Mammolo, da parte della divisione paracadutisti "Hermann Goering", episodio che a Roma rimase quasi completamente sconosciuto, essendosene occupata solamente "l'Unità" clandestina. Il fatto ebbe luogo dopo di che la popolazione di Pietralata aveva dato l'assalto al forte abbandonato dal quale i tedeschi e fascisti asportavano continuamente materiale bellico e viveri. Dal punto di vista dei Tedeschi si trattava di un attacco al proprio esercito. Quindici popolani catturati furono anche qui sottoposti a processo sul campo, per il quale restarono reclusi per una notte e vi fu anche l'intervento di un ufficiale della PAI. Dopo la guerra il fatto fu interamente chiarito, grazie alle testimonianze di numerosi testimoni diretti o indiretti. Va notato che la zona in cui accadde il fatto si trovava al di fuori del perimetro di competenza del comando tedesco di Roma, dunque era competente uno Standgericht e non il Feldgericht.

2. Il silenzio delle fonti
Il fatto del Ponte di Ferro non può essere avvenuto, dato che non esistono documenti diretti o comunque redatti a breve distanza dai fatti. Gli archivi italiani sono stati esaminati a sufficienza e non si è trovato neanche un appunto o qualche nota. Nessuna delle tante associazioni delle vittime o delle persone coinvolte in qualche modo direttamente nelle più tristi e cruente vicende romane dei "nove mesi" ha mai raccolto qualcosa che riguardasse il presunto eccidio del Ponte di Ferro. Su tutti i quotidiani romani, indipendentemente dal colore politico, a partire dal 5 giugno fino agli inizi del 1946, se non oltre, hanno pubblicato una quantità enorme di notizie relative ai nove mesi di occupazione. Gli episodi più importanti furono anche raccolti in un libro che ogni ricercatore, ma anche dilettante di storia moderna, non può non conoscere (Roma sotto il terrore nazi-fascista : 8 settembre 1943-4 giugno 1944 : documentario / Armando Troisio - Roma - (stampa 1944) - 206 p. ; 21 cm.). Silenzio totale, neanche un accenno. Un silenzio tale è impossibile, solo se si pensa quale clamore fece in città l'uccisione da parte di un ufficiale tedesco di Teresa Gullace, fatto fin troppo noto, perché vi spenda altre parole. Figuriamoci se la notizia dell'uccisione di 10 donne in un sol colpo non avesse fatto il giro della città in modo fulmineo.

3. La Resistenza Romana
C'è da chiedersi seriamente cosa si immagini ogni singola persona ogni qual volta pronunci o senta pronunciare le parole "Resistenza Romana". Questo fenomeno storico innegabile, apparentemente limitato al periodo dell'occupazione militare della città da parte della Wehrmacht, è stato estremamente complesso, variegato, difficile da definire con poche parole. Un fatto indiscutibile e fermo è che ha avuto un ruolo importantissimo per la città e per l'Italia, indipendentemente da quello che possono affermare singole persone o sprovveduti come qualche tempo addietro Pippo Baudo, che spara sentenze senza nemmeno conoscere i fatti di cui va parlando in televisione.
Forse, anche se sarebbe veramente ora, sulla Resistenza Romana manca ancora un'opera complessiva e definitiva, che ne spieghi chiaramente tutti gli aspetti, che metta ordine nelle tante versioni, alcune fantasiose se non false come abbiamo visto, che valuti le fonti esistenti in modo intelligente ed imparziale, che restituisca la dimensione e qualità effettiva di tutti gli elementi che concorsero a formarla.
Ci sono ad esempio diversi punti di vista di chi visse quei fatti, che non sempre combaciano e che a volte sembrano riferiti a fatti isolati. Per comprendere meglio, si può dire che esistono memorie parallele della Resistenza Romana che non sempre comunicano tra di loro. Esiste il filo politico della vicenda, estremamente complesso, perché si pone all'inizio di quel profondo processo attraverso il quale l'Italia transiterà dal 25 luglio 1943 al 25 Aprile 1945. In altre parole il difficile traghettamento della politica italiana dal fascismo regio alla democrazia repubblicana parte da Roma ed arriva a Milano, dove Roma è il luogo nel quale vengono poste molte premesse fondamentali per la rinascita democratica; accenno qui giusto al patto di unità sindacale del 4 giugno 1944.

4 - L'aspetto militare
Ci sono poi i due aspetti militari, quello del Fronte militare clandestino, con a Capo il Martire della Fosse Ardeatine Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, e quello delle formazioni militari dipendenti da organizzazioni politiche, sociali o religiose, un arcipelago variegato, con poche isole ragguardevoli e tanti isolotti o barriere coralline, a volte in concorrenza tra loro, ma tutti uniti contro l'invasore tedesco ed il traditore italiano (i fascisti) e quasi tutti in collegamento con il fronte militare, che rappresenta una sorta di struttura di coordinamento, comando ed informazione, la quale faceva da ponte con gli alleati e garantiva alla Resistenza italiana, a partire da Roma, anche un riconoscimento ed appoggio internazionale. Dopo l'insurrezione popolare di Napoli il primo vero atto della rinascita nazionale italiana con la quale l'esercito tedesco viene cacciato da una grande città europea, i comandi germanici capiscono definitivamente, riflettendo anche sulla battaglia persa a Stalingrado, che in una grande città ogni esercito occupante è condannato a perdere, e dunque le cose sono due: o si evacua tutta la popolazione, trasformando la città in un campo di battaglia qualsiasi, o si fa proseguire la guerra attorno alla città, cercando di garantirsi con ogni mezzo la tranquillità nella città stessa. Anche se furono stilati dei piani in merito, non si arrivò mai all'ordine di evacuazione, che era definitivamente impossibile ed impraticabile per un grande e complesso ordine di motivi. La stessa idea di città aperta per Roma gli alti comandi tedeschi se lo erano già posto molto prima di occupare la città, e gli scopi erano diversi. Uno degli scopi principali era quello di creare un retroterra tranquillo rispetto alla linea Gustav ed avere una zona sicura alle spalle di Cassino. Ufficialmente i tedeschi strombazzano ai quattro venti la loro adesione allo status di città aperta per Roma, tanto da far disattivare i sistemi di allarme antiaereo, da un lato, e non reagire apertamente alle azioni militari delle formazioni partigiane e vietare la divulgazione di notizie relative ad atti di Resistenza. Questo per coprire l'uso strategico che si faceva di Roma, facendovi transitare convogli militari, tenendovi lazzaretti, strutture di comando del fronte, casermaggio di truppe di riserva, magazzini al sicuro dai bombardamenti. A Roma esistevano addirittura uffici militari nei quali si preparava la rioccupazione dell'Africa, convinti come erano che l'alleanza anglo-russo-americana non sarebbe durata a lungo e le "armi segrete" avrebbero risolto ogni problema militare.
È noto e risaputo, che le azioni praticamente quotidiane compiute dalle diverse formazioni impegnate nella lotta, avevano tra gli scopi principali quello di dimostrare che i tedeschi, alla faccia della dichiarazione di città aperta, utilizzavano la città militarmente. Prova ne sia, che dopo l'azione dei GAP contro una colonna della Polizia Tedesca in Via Rasella, il comando tedesco fece mettere ai limiti della città grandi cartelli col divieto di ingresso a singoli o a formazioni militari, pubblicandone la fotografia su di un gran numero di testate, allora diffuse in tutta Europa. L'effetto dell'azione di Via Rasella fu un ulteriore rallentamento dei rifornimenti di uomini e mezzi verso Anzio e Cassino, aprendo praticamente le porte di Roma all'avanzata alleata.
Importante fu l'azione complessiva della Resistenza romana anche per il fatto che tutte le sue attività rallentavano il flusso dei rifornimenti verso il fronte di Cassino o il fronte di Nettuno, e quando si parla di Resistenza Romana, si deve anche tenere presenti come parte integrante della stessa le tante formazioni che agirono nella più ampia zona attorno a Roma e che ebbero un gran numero di caduti e fucilati, dei quali si tiene memoria solo localmente nei comuni attorno a Roma, nonostante essi praticamente erano parte integrante della Resistenza romana.
Da Roma partiva anche una fitta rete informativa, alla quale parteciparono centinaia di persone, le quali in silenzio raccoglievano dati ed informazioni di rilievo militare che venivano prontamente trasmesse al comando alleato a Caserta, contribuendo in modo poco appariscente, ma sicuramente di grande effetto, alla lotta contro gli invasori.

5 - Memorie private
Non è da oggi che mi occupo della storia della Resistenza Romana, ed ho avuto occasione di sentire molti testimoni diretti, dei quali ormai ce ne restano ben pochi. Ci sono ancora tantissimi testimoni secondari, persone nate nell'arco del primo decennio dopo i fatti, oppure parenti stretti dei protagonisti, delle vittime, delle persone che erano a conoscenza di fatti diretti e che hanno vissuto di persona quel periodo e ne possono parlare. Questi testimoni secondari tramandano di solito una visione molto ristretta di quel periodo, focalizzata su quello che accadde praticamente in casa propria. Quando si trattava di una visione generale dei fatti, allora tornano a galla le cose che in quel periodo si dicevano o si sentivano dire; in parte si sentono ripetere enormi falsità diffuse dalla propaganda fascista, mentre non si sente mai parlare di fatti che storicamente, almeno tra gli esperti, valgono per assodati. Il fatto è ovvio, dato che la gente comune, pur avendo una straordinaria avversione contro gli occupanti ed un sincero e fresco odio contro i fascisti, non conoscevano e non hanno mai sentito, prima della Liberazione, i nomi dei combattenti attivi in città. La loro possibilità diretta d'informazione era limitata al proprio caseggiato, alle poche persone di cui si fidava, all'ambito lavorativo. Per il resto solo radio e giornali, i quali spargevano falsità e menzogne di ogni genere da una posizione di monopolio quasi assoluto. Anche se in città vi era una grande diffusione di giornali clandestini o di volantini, solo una parte relativamente piccola della gran massa degli abitanti veniva raggiunta, avendo i giornali ed i volantini principalmente una funzione organizzativa e motivazionale. Aiuta molto a capire da un lato cosa successe veramente e cosa si racconta ancora oggi tra la gente la lettura del libro fondamentale di Sandro Portelli (L'ordine è già stato eseguito : Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria / Alessandro Portelli - Roma : Donzelli, \2001! - VII, 456 p. ; 22 cm.). Sia qui detto che in questo ottimo libro, dei tanti testimoni diretti ascoltati, nessuno accenna al ponte di ferro.

6 - Attentati alla memoria
È sin dai tempi dell'occupazione di Roma che si cerca di sminuire il valore, l'importanza ed il significato della Resistenza Romana. Periodicamente gli attacchi si intensificano e l'ultima occasione è stata il centesimo compleanno dell'ultimo volgare assassino nazista che operò a Roma ancora vivo. La sua stessa vicenda, con la tardiva "scoperta" in Argentina ed il ridicolo processo che in primissima istanza lo volle assolto, facevano parte di un piano ben orchestrato, che puntava direttamente alla delegittimazione della Resistenza Romana, e con essa, la delegittimazione delle basi della Costituzione Democratica, nata dalla Resistenza. Per nostra fortuna il progetto è fallito, ma le forze che vogliono cancellare la nostra Costituzione stanno riprendendo vigore ed il pericolo per le basi della nostra libertà e democrazia attualmente è più grave che mai. Ora l'episodio del Ponte di Ferro, intendo il fatto della sua genesi come legenda metropolitana che si trasforma in verità ufficiale, è solamente un episodio marginale, il quale presto o tardi sarà ed andrà a finire al massimo nelle noterelle a piè di pagina di qualche trattazione storica seria ed attendibile. Importante è che qualche sconsiderato non provi ad usare questa bazzecola come grimaldello per scardinare tutta la storia vera. Il pericolo è minimo, ma questo stillicidio continuo comunque provoca danni.

7 - Libri e carta straccia
Una ultima notazione meritano i tanti libri che vengono spesso chiamati in causa. Due già li ho citati, e vanno sicuramente consultati, ma ce ne sono molti altri che meritano di essere meglio conosciuti, magari tramite una ristampa oppure una antologia. Importante sarebbe promuovere una o più pubblicazioni che diano finalmente il quadro complessivo della storia della Resistenza Romana, finanziando ad esempio delle ricerche in merito, ma non affidate a case editrici che puntano solo al lucro e ripetono solo cavolate oppure a ricercatori superficiali, imprecisi e chiacchieroni, per non parlare di professorucoli, ignoranti loro stessi, che fanno fare "ricerche" a scolari e studenti ancora più ignoranti di loro. I soldi penso che si possano pure trovare, smettendo magari di finanziare cose veramente inutili o pagando stipendi o rimediando posti a persone che vendono solamente aria fritta.
Utile sarebbe anche una seria guida bibliografica, che aiuti le persone interessate a capire meglio quali libri conviene leggere per primi e quali non ha senso leggere, a meno che non si abbia tempo da perdere.

8. - La testimonianza di Carla Capponi
Ho conosciuto personalmente Carla Capponi, così come Bentivegna e tanti altri partigiani combattenti romani. Questa sua "testimonianza" sul ponte di ferro è molto tarda e per essere così tarda, mi chiedo subito due cose:  perché "Elena" (in nome di battaglia di Carla Capponi) non ne ha mai parlato prima di un episodio così grave? Come è possibile che dopo tanti decenni i dettagli del racconto siano così ricchi e dettagliati? Non dico altro e mantengo tutta la mia stima ed ammirazione per il coraggio di Carla Capponi e la ammiro per quello che ha fatti durante i nove mesi di occupazione tedesca di Roma.

giovedì 12 aprile 2018

Lo Zio Sam ci vuole tanto bene

Mentre stavo tutto preso a gustarmi un "Wiener Schnitzl" (praticamente una cotoletta milanese, ma senza osso e cotta nella sugna invece che nel burro) ho sentito una cosa che mi pareva tanto strana, da convincermi che avessi sentito male. In pratica il TG3 sosteneva che il processo di formazione del nuovo governo sarebbe stato accelerato dalla crisi siriana.
  A conferma del fatto che avevo, purtroppo, sentito bene, arriva la dichiarazione di Pietro Grasso, il quale si sofferma sullo scenario internazionale, sarebbe a dire la minaccia di guerra amerikana contro la Siria, e avverte che si “rende necessaria un’accelerazione per la soluzione della crisi”.
Continuavo a masticare a bocca aperta con gli occhi fissi sullo schermo televisivo. Tutto quello che sentivo mi sembrava completamente assurdo, lontano dalla realtà, in qualche modo perdutamente folle.
  Solo dopo aver finito la cotoletta iniziai a riflettere. Il primo motivo di una dichiarazione tanto assurda, come lo stesso Grasso suggeriva, potrebbe essere l'intenzione di non aspettare i risultati delle prossime regionali per decidere se fare un nuovo governo o andare direttamente a nuove elezioni, le quali potrebbero portare, almeno secondo alcuni sondaggi e previsioni ponderate, alla definitiva scomparsa del PD, la dissoluzione della stessa formazione politica di Grasso, un rafforzamento, a seconda dei casi, della Lega o dei Cinque Stelle.
  Poi ci ho pensato meglio. Che bisogno c'era di tirare in ballo la Siria? Grasso ha in mente un effetto sponda, in seguito al quale una eventuale evoluzione tragica in Siria avrebbe richiesto un governo nel pieno delle proprie funzioni per far fronte alle emergenze causate da un grave scontro bellico davanti alla propria porta di casa? Forse vorrebbe far capire con la frase: “…la situazione internazionale e nazionale non ci consente di valutare, in questo momento, l’utilizzo di missili o bombe”, che senza un governo non possiamo neanche partecipare ai botti?
  Un poco la nebbia si dirada dopo aver sentito la demente affermazione di Emma Bonino :"l’Italia deve rimanere nel quadro delle alleanze euroatlantiche e, in quella sede, partecipare senza ondeggiamenti pericolosi a discussioni sul se, come e quando intervenire, magari utilizzando gli strumenti del diritto internazionale".
  Il vero problema dunque non sembra essere il fatto che l'Italia lanci qualche petardo assieme agli altri, ma il "quadro delle alleanze euroatlantiche". Sarebbe a dire che "gli alleati" (leggi più correttamente: il Governo degli Stati Uniti") non vuole avere governi terzi rompiscatole quando deve testare una nuova generazione di armi contro un paese a caso che si affaccia sul mediterraneo; stavolta tocca alla Siria.
 
Con questa chiave di lettura si capisce cosa intendeva veramente Grasso: Ragazzi! Facciamo subito un governo qualsiasi e stiamo attenti a non pestare i calli allo Zio Sam; tutto il resto chissene frega.
La frase della donna con turbante invece ci fa capire finalmente un'altra cosa ancora. Io mi sono sempre chiesto per quale motivo la pseudocapitale dell'Unione Europea avesse sede a Bruxelles. Molti, erroneamente pensano che fosse per la sua posizione centrale, ma evidentemente non è così. L'espressione che usa Emma ce lo fa capire: "alleanze euroatlantiche". L'Alleanza atlantica, NATO per gli amici, ha sede a Bruxelles, e quella che è oggi l'Unione Europea ne è un'appendice, possibilmente docile docile.
  Non mi voglio dilungare troppo, ma qualcuno ha una gran paura che in Italia possa nascere un governo a guida grillina, che, si badi bene, è il primo e più forte partito italiano, cioè una formazione politica che ha ricevuto un chiaro mandato direttamente dagli elettori. La pseudocoalizione degli adoratori di Berlusconi è una facciata dietro alla quale si riunisce il niente, una gran voglia di rivincita, tanta fame e tanta confusione.
  C'è solamente una unica via d'uscita dall'attuale situazione, e cioè che quello che rimane del PD deve espellere dal proprio seno le vipere renziane e collaborare con il Movimento Cinque Stelle, magari coinvolgendo anche Pietro Grasso (così gli americani sono contenti).
  Io i petardi me li terrei per la prossima grande vittoria della Roma.